Il referendum sulle trivellazioni (è oggi, se vi foste distratti)

Il 17 aprile, cari italiani, saremo chiamati ad esercitare il nostro diritto di voto. Nessuna elezione anticipata, bensì un referendum di iniziativa regionale (il primo nella storia) a cui rispondere “sì” oppure “no”. Il quesito referendario riguarda la decisione circa la possibilità di rinnovo delle concessioni estrattive per tutte quelle compagnie che utilizzano piattaforme entro il raggio di 12 miglia dalla costa italiana. A promuovere il referendum sono state Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise, che in seguito al mancato raggiungimento delle 50 mila firme necessarie per indire un referendum hanno optato per la via di iniziativa regionale, prevista dalla nostra Costituzione. Cerchiamo, dunque, di capire bene di cosa si sta parlando.
Lo scopo del referendum. L'intento dei promotori del referendum è quello di impedire che le compagnie impegnate nell'estrazione di gas e petrolio tramite piattaforme situate entro 12 miglia dalla costa possano rinnovare le concessioni una volta che quelle attuali siano scadute. In parole povere, che terminate le attuali autorizzazioni quelle piattaforme vengano dismesse. In termini generali, delle 66 concessioni estrattive marine attualmente vigenti in Italia, solo 21 riguardano piattaforme situate entro le 12 miglia (una in Veneto e Marche, 2 in Emilia Romagna e Basilicata, 3 in Puglia, 5 in Calabria e 7 in Sicilia), poiché già da diversi anni la legge ha stabilito tale limite. Ma tutte quelle che già esistevano, e sono appunto 21, hanno avuto la possibilità di proseguire nella loro attività estrattiva, oltre che la certezza di poter rinnovare la propria concessione amministrativa fino a che i giacimenti di gas o petrolio su cui stanno lavorando non siano terminati. Il meccanismo e i termini delle concessioni estrattive, in Italia, funziona così: una durata iniziale di 30 anni, prorogabile una prima volta per altri 10, una seconda volta per 5 e una terza volta ancora per 5 anni. Giunti alla quarta richiesta, le aziende coinvolte possono chiedere una proroga fino all'esaurimento del giacimento. Tutto ciò per dire che, qualora le attuali leggi dovessero venir modificate secondo le richieste referendarie, i primi impianti a chiudere lo farebbero non prima di almeno 5 anni, mentre gli ultimi, ovvero quelli che hanno ottenuto una concessione in tempi più recenti, fra circa 20 anni.

I volontari di Greenpeace in azione a Verona per sensibilizzare l'opinione pubblica sul referendum del 17 aprile, quando gli italiani saranno chiamati a esprimersi sulle trivellazioni in mare, 5 marzo 2016. ANSA/ UFFICIO STAMPA GREENPEACE +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

I volontari di Greenpeace in azione a Bari per sensibilizzare l'opinione pubblica sul referendum del 17 aprile, quando gli italiani saranno chiamati a esprimersi sulle trivellazioni in mare, 5 marzo 2016. ANSA/ UFFICIO STAMPA GREENPEACE +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

I volontari di Greenpeace in azione a Milano per sensibilizzare l'opinione pubblica sul referendum del 17 aprile, quando gli italiani saranno chiamati a esprimersi sulle trivellazioni in mare, 5 marzo 2016. ANSA/ UFFICIO STAMPA GREENPEACE +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

I volontari di Greenpeace in azione a Catania per sensibilizzare l'opinione pubblica sul referendum del 17 aprile, quando gli italiani saranno chiamati a esprimersi sulle trivellazioni in mare, 5 marzo 2016. ANSA/ UFFICIO STAMPA GREENPEACE +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++
Le ragioni del “sì”. I sostenitori del “sì”, ovvero coloro che sperano nell'abrogazione delle norme sul prolungamento delle concessioni, adducono in primo luogo, ovviamente, ragioni di natura ambientale: per quanto le possibilità di disastri ecologici, sostengono gli esperti, siano più che marginali, meglio non correre nemmeno il rischio. Si parla, inoltre, di possibili danni legati al turismo e al diminuire dell'appeal di certe località marittime; ma, rispetto a questo, mancano prove effettive. La vera ragione sottostante al referendum, dicono gli stessi organizzatori, è schiettamente di politica energetica: stimolare il Governo, attraverso lo stop ad alcuni centri di estrazione, ad impegnarsi attivamente nello sviluppo delle energie rinnovabili ed ecosostenibili.
Le ragioni del “no”. Tutti coloro che invece si oppongono all'abrogazione delle norme sul prolungamento delle concessioni, ovvero i sostenitori del “no”, ritengono che, al contrario di quanto si possa credere, la presenza di piattaforme estrattive, anche all'interno del raggio delle 12 miglia, limita il proliferare dell'inquinamento marino: in assenza di queste, infatti, l'Italia necessiterebbe di importare una corposa dose di fonti energetiche dall'estero, generando un traffico di petroliere e navi da trasporto tale nelle nostre acque da sporcarle molto più di quanto non facciano le piattaforme. In secondo luogo, una vittoria del “sì” metterebbe a repentaglio migliaia di posti di lavoro, ovvero tutti gli operai addetti alle trivellazioni (sono, per esempio, 7 mila nella sola provincia di Ravenna). Infine, rispetto al risvolto politico del referendum, i sostenitori del “no” affermano che si tratta semplicemente di un tentativo da parte delle Regioni di mettere pressioni al Governo in un periodo in cui, fra riforme costituzionali e strettamente di settore, queste stanno perdendo sempre più autonomie e competenze, anche in materia energetica.