Il vino del Monastero del Cremisan e le minacce del muro di Israele

Cremisan è un monastero salesiano, e sulle colline della Cisgiordania, in terra di Palestina, sorge dal 1885, anno in cui i cristiani proprietari delle terre decisero di creare un insediamento religioso che lavorava la vite per farne vino da messa, proprio a pochi chilometri da Betlemme. Ma dopo quasi 150 anni di storia, queste coltivazioni rischiano di sparire, minacciate dall’avanzare dei muri israeliani. Da queste zone, infatti, si vuole far passare il lungo serpentone di cemento armato che separa i territori palestinesi da quelli degli ebrei. E se, nel 2004, si era riusciti ad arrivare ad un blocco dei lavori di costruzione del muro, lunedì è arrivata la decisione improvvisa della Corte Suprema di Israele, che ha dato l'ok alla ripresa dei lavori. E così la nuova barriera separerà la scuola e i due conventi salesiani dai fondi agricoli.
Il vino di Cremisan. È una storia di successo quella del monastero del Cremisan, che negli anni è passato dal vino da messa a quello da tavola: inizialmente il gusto non era eccellente per via delle tecniche rudimentali di vinificazione. Poi, grazie ai progetti avviati con i contributi della cooperazione italiana, il vino di Cremisan, rosso e bianco, è migliorato nettamente, e ora accompagna anche i pasti più importanti delle comunità cristiane di Palestina. Tanto che viene distribuito anche all’estero, dal Giappone alla Germania. I salesiani danno lavoro a una ventina di persone, che lavorano le uve provenienti dalle terre di Betlemme e Hebron. Ma da qui Israele avrebbe voluto far passare il suo muro, minacciando una valle già segnata dalla presenza di alcune colonie ebraiche.
Il villaggio di Beit Jala. Beit Jala è un villaggio di 15mila abitanti che, insieme a Beit Sahur dalla parte opposta, guarda e protegge Betlemme. Il 60 percento della popolazione è cristiana. Intorno alla collina, sorgono tre imponenti colonie israeliane: Gilo, costruita tra il 1971 e il 1979 su terre confiscate ai villaggi di Beit Jala e Al Walaje, è casa per circa 40mila coloni israeliani; Har Gilo, costruita nel 1976 su terre confiscate ad Al Walaje, dove risiedono 500 coloni; e Givat Hamatos, dove potrebbero essere costruite a breve altre 2.500 unità abitative. La presenza cristiana a Beit Jala è viva e si fa sentire: qui c’è il seminario del Patriarcato Latino di Gerusalemme, il che significa che tutti i sacerdoti di Terra Santa arrivano da lì. A Beit Jala c’è anche uno dei pochissimi macellai, forse l’unico, che vende il salame.
La protesta dei cristiani e la prima vittoria. La decisione della Corte Suprema israeliana arriva dopo una battaglia durata anni. Era il 2004, e l’allora parroco William Shomali, oggi vescovo ausiliare e vicario generale del Patriarcato Latino di Gerusalemme, decise di organizzare la celebrazione di una Messa all’ombra degli ulivi ogni venerdì. Una celebrazione a cui, oltre alla comunità locale, nel corso degli anni hanno partecipato molti pellegrini e delegazioni internazionali. Anche Papa Francesco, che in Terra Santa è stato pellegrino lo scorso anno, aveva preso a cuore la vicenda della valle di Cremisan. Dopo un tira e molla durato otto anni, lo scorso aprile la Corte Suprema di Israele aveva deciso che il Muro lì era illegale e soprattutto inutile. Una decisione che replicava quella presa nel 2004 dalla Corte internazionale di Giustizia, che si era pronunciata definendo illegale la scelta di costruire il muro a Cremisan. La decisione dell’Alta corte si era detto fosse definitiva e si invitavano le autorità militari israeliane a trovare alternative meno devastanti per la popolazione locale. All’epoca la Corte Suprema disse che il percorso suggerito dalla Difesa israeliana non era l’unica alternativa in grado di assicurare la sicurezza e di provocare meno danni possibili.
Sentenza ribaltata: il Muro si farà. Sembrava una vittoria della speranza e della pace, perché la storia di Cremisan e della sua vigna era ben più lunga della storia del conflitto israelopalestinese. Ma il 7 luglio, come un fulmine a ciel sereno, una decina di giorni dopo la firma dell’accordo di base che riconosce le attività della Chiesa Cattolica in Palestina, Israele ha ribaltato la decisione di aprile e ha deciso che il Muro verrà costruito, seppur con un tracciato leggermente modificato rispetto alla versione precedente. Non taglierà in due la Valle, quindi la vigna di Cremisan verrà preservata (del resto, essendoci in ballo gli aiuti della cooperazione si rischiava l’incidente diplomatico) e la stessa tutela verrà riservata alla scuola gestita dalle suore salesiane, che continuerà a essere raggiungibile per le famiglie dei 450 ragazzi, cristiani e musulmani, che la frequentano seguendo il metodo di don Bosco. Ma il percorso va ben al di là della linea verde, considerata il confine ufficiale tra Israele e Cisgiordania, entrando a man bassa nelle terre di proprietà dei palestinesi con il solo intento di espropriarle.
Proprietà confiscate alle famiglie. Il nuovo tracciato del muro prevede la confisca della proprietà per 58 famiglie. Il nuovo pronunciamento non ammette ricorso e afferma che i terreni agricoli, circa 300 ettari, diventeranno proprietà di Israele. Oltre alla costruzione del Muro queste terre serviranno ad allargare gli insediamenti ebraici di Har Gilo e Gilo.
L’opinione del Sindaco di Betlemme. Qualche tempo fa, quando ancora la sentenza di aprile non era stata pronunciata, il sindaco di Betlemme, Vera Baboun (cristiana come tutti i sindaci di Betlemme in ottemperanza a una legge voluta da Arafat), aveva dichiarato. «È evidente che il disegno del tracciato non risponde a nessuna esigenza di sicurezza, e mira solo a separare la gente dalle loro terre per poterle confiscare, e per allargare l’area delle colonie israeliane che già hanno occupato in quel quadrante la maggior parte dei territori palestinesi».