Inchiesta Ubi, di che si sta parlando

È notizia di queste settimane che la Procura di Bergamo ha chiuso le indagini relative alla vicenda UBI: si tratta di un procedimento penale complesso che coinvolge numerose persone e diverse situazioni, partito nel 2013 con un fascicolo aperto “contro ignoti”, poi passato nel registro “noti” nel 2014 con le iscrizioni dei primi nominativi e, infine, giunto ad un primo importante step con l’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari notificato a fine novembre ai numerosi indagati. Tre anni di accertamenti investigativi con perquisizioni, intercettazioni, audizioni di testimoni e acquisizioni di documenti che hanno determinato la Procura - oggi guidata da Walter Mapelli che con il pm Fabio Pelosi, titolare del fascicolo, ha sottoscritto l’avviso di conclusione delle indagini – a formulare una serie di ipotesi d’accusa raccolte e descritte nei ventun capi di imputazione rivolti a vario titolo ai vertici di UBI e ad altri soggetti del mondo bancario, dell’imprenditoria e della società civile oltre che a professionisti, per un totale di 39 indagati.
Oltre 33mila pagine. Ebbene, di cosa si parla nelle oltre 33mila pagine del fascicolo? A che punto è il procedimento penale? Quali sono le contestazioni? Chi è coinvolto e per quale motivo? Ecco alcuni spunti per provare ad orientarsi in una vicenda che necessita di qualche coordinata per essere meglio compresa e seguita in quello che si preannuncia essere un iter non breve e di una certa complessità.
Che atto è stato notificato dalla Procura? Partiamo dall’ultimo atto della vicenda giudiziaria: l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. È, senza dubbio, un passaggio importante del procedimento penale in quanto con tale atto la Pubblica Accusa, ritenendo di aver completato gli accertamenti investigativi e di aver trovato riscontro all’ipotesi accusatoria, si accinge a esercitare l’azione penale. Come previsto dal codice, il Pubblico Ministero deve emettere obbligatoriamente questo avviso di conclusione delle indagini formalizzando le accuse (i capi di imputazione) per ciascun indagato e per tutti gli episodi in contestazione, depositando nel contempo tutti gli atti di indagine e consentendo così alle difese di venire a conoscenza di quali siano gli elementi su cui si fonda la tesi accusatoria e di presentare eventualmente elementi per chiarire la posizione del proprio assistito. È evidente, quindi, come oggi - rispetto allo sviluppo del procedimento penale - ci si trovi ancora in una fase iniziale e, in realtà, molto sbilanciata sulla ricostruzione dell’accusa i cui accertamenti e investigazioni costituiscono, al momento, la gran parte (se non la totalità) del contenuto del fascicolo. Non a caso, data la mole importante degli atti depositati, è stato concesso alle difese un termine di circa due mesi per poter esaminare l’incartamento e svolgere la propria attività difensiva. È solo all’esito di questa fase – e qualora l’accusa non si sarà convinta dei chiarimenti difensivi, che potrebbero anche non essere presentati –che la Procura potrà depositare la richiesta di rinvio a giudizio per arrivare all’udienza preliminare e ottenere dal Gup (Giudice dell’udienza preliminare) il “via libera” alla celebrazione del vero e proprio processo.
Quali sono le contestazioni e chi riguardano? Le contestazioni ruotano, di fatto, intorno a tre vicende tra loro connesse e per capirle è utile partire dalla chiave di lettura complessiva data dalla Procura all’indagine. In sintesi, sono stati messi sotto la lente di ingrandimento i rapporti tra i “soci bresciani” e i “soci bergamaschi” di UBI che, in applicazione di “patti parasociali” stretti nel 2006 al momento della nascita dell’importante polo bancario, avrebbero determinato, regolato e improntato la vita dell’istituto affinché l’accordo raggiunto tra i due gruppi fosse sempre garantito e preservato, assicurando così agli stessi soci il pieno controllo di UBI. In altre parole, la gestione della Banca sarebbe stata oggetto di una sorta di patto segreto che avrebbe permesso a due gruppi di potere di mantenerne la direzione, in violazione della regolamentazione di settore ed evitando le attività di vigilanza e controllo degli organi preposti. Partendo da tale presupposto, l’Accusa ha identificato tre filoni di indagine che sono poi sfociati nelle diverse accuse rivolte agli indagati.
Il primo filone. Si è concretizzato nelle imputazioni relative al reato di “ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità di pubblica vigilanza” e riguarda tutta una serie di condotte attraverso le quali i vertici bancari avrebbero cercato di impedire a Consob e Banca d’Italia di venire a conoscenza del contenuto dei patti parasociali e della “effettiva” gestione posta in essere in esecuzione degli accordi del 2006. Si tratta - senza dubbio - della principale contestazione che permette alla Procura di affrontare il nodo centrale dell’indagine, ossia la contestazione per cui la Banca sarebbe stata illegittimamente diretta per circa dieci anni sulla base di una sorta di accordo segreto tra l’Associazione Banca Lombarda Piemontese (espressione del gruppo dei soci bresciani, la cui guida viene attribuita a Giovanni Bazoli) e l’associazione Amici di UBI (rappresentante dell’anima bergamasca, il cui leader sarebbe stato Emilio Zanetti) e non secondo l’ordinaria disciplina societaria e bancaria. In buona sostanza e sotto il profilo più penalistico, sarebbero state omesse volontariamente una serie di informazioni rilevanti e obbligatorie sulla vita e sui reali assetti di potere dell’istituto di piazza Vittorio Veneto, evitando in questo modo interventi da parte di Consob e Banca d’Italia che avrebbero potuto – in teoria – scoprire e bloccare il presunto accordo. Sono chiamati a rispondere di questi (presunti) illeciti: Franco Polotti, Andrea Moltrasio, Victor Massiah, Mario Cera, Giovanni Bazoli, Francesca Bazoli, Enrico Minelli, Flavio Pizzini, Federico Manzoni, Pierpaolo Camadini, Emilio Zanetti, Giuseppe Calvi, Italo Lucchini, Armando Santus, Mario Mazzoleni e Carlo Garavaglia. Sempre di questo reato - ma per altro profilo - è accusato ancora Franco Polotti per un episodio collaterale che concerne la mancata informazione sul suo coinvolgimento in una società che avrebbe ricevuto finanziamenti da parte della Banca.
Il secondo filone. Concerne la specifica vicenda dell’assemblea dei soci UBI del 20 aprile 2013. Si tratta, anche in questo caso, di una situazione che è stata presa in esame dalla Procura cercando un ulteriore e importante riscontro alla tesi di fondo secondo la quale UBI sarebbe stata diretta e gestita dai soci bergamaschi e bresciani sulla base di un patto (segreto) che, inaspettatamente, nella assemblea del 2013 rischiava di saltare per effetto della presentazione di due liste concorrenti, con propri candidati per gli organi direttivi e chiaramente in contrapposizione con la “Lista 1” capeggiata da Andrea Moltrasio ed espressione della linea di continuità con i vertici che fino ad allora avevano gestito la Banca. In questo contesto, l’Accusa ha individuato una serie di attività poste in essere sia dalla parte bresciana che dalla parte bergamasca per assicurare ai vertici uscenti la vittoria in assemblea. Più in dettaglio viene contestato di aver formato, attraverso una serie di operazioni illegittime concretizzatesi, in particolare, nella gestione di deleghe in bianco, una maggioranza in grado di far ottenere il maggior numero di voti alla “Lista 1”, espressione del consiglio uscente, a discapito delle liste Iannone e Resta. Tali operazioni avrebbero visto il fattivo coinvolgimento non solo dei vertici aziendali, ma anche di alcune strutture periferiche della Banca (dirigenti, responsabili di zona e filiali) che avrebbero effettuato una serie di monitoraggi a tappeto sui soci, cercando di raccogliere deleghe da utilizzare in assemblea. Ad avviso dell’Accusa sarebbero coinvolti in queste manovre dirette a garantire un numero di voti sufficienti alla “Lista Moltrasio” anche alcuni professionisti bergamaschi, esponenti della locale Compagnia delle Opere e della Confiab, soggetti che avrebbero fornito il loro appoggio alla lista capeggiata da Moltrasio in cambio dell’inserimento di loro uomini all’interno degli organi direttivi della banca. Le persone indagate per il reato di “illecita influenza sull’assemblea” sono: Emilio Zanetti, Giovanni Bazoli, Italo Folonari, Victor Massiah, Andrea Moltrasio, Ettore Medda, Marco Mandelli, Giuseppe Sciarrotta, Guido Marchesi, Gemma Baglioni, Enrico Invernizzi, Antonella Bardoni, Rossano Breno, Matteo Brivio, Ettore Ongis, Angelo Ondei, Stefano Lorenzi e Giovanni D’Aloia.
Il terzo filone. Prende in esame le vicende dell’imbarcazione “Beata of Southampton”: situazione a latere rispetto alla tematica centrale dell’indagine perché riguarda un’operazione che nasce sì all’interno del mondo UBI, ma che riguarda sostanzialmente la controllata UBI Leasing S.p.A. e la gestione dell’acquisto di tale bene che, secondo la tesi accusatoria, sarebbe avvenuto in una situazione di conflitto di interesse e con la violazione di norme in materia societaria, fiscale e antiriciclaggio. Le quindici imputazioni che si riferiscono a questa vicenda - in cui sono coinvolti in particolare Italo e Silvia Lucchini e Giampiero Pesenti – spaziano dalla violazione del divieto per coloro che svolgono funzioni di amministrazione di una banca di contrarre obbligazioni con la banca amministrata senza la previa deliberazione dell’organo di amministrazione, alla truffa in danno di UBI Leasing realizzata con la sottostima del valore dell’imbarcazione; dalla violazione della disciplina in materia di antiriciclaggio per l’omessa comunicazione da parte dei due commercialisti (Lucchini) dell’effettivo beneficiario (Pesenti) dell’operazione di compravendita, ai delitti fiscali di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, fino alla inosservanza delle norma in materia di accise. Oltre ai soggetti sopra indicati, sono chiamati a rispondere del solo reato di truffa anche Alessandro Maggi, Alessandro Miele, Marco Martelli, Guido Cominotti, Giampiero Bertoli e Marco Fermi; mentre per la violazione della disciplina sulle accise è coinvolto anche Francesco Morlè. Non v’è dubbio che si tratti di una vicenda articolata e con numerosi possibili sviluppi che dovrà essere seguita con pazienza e attenzione per non fermarsi agli episodi di colore, interessanti per la cronaca ma meno per decidere se vi siano stati reati - e commessi da chi -, che è poi l’unico compito che spetterà al giudice.