Isis, un affare da 3 mln al giorno Quanto incassa e spende il Califfo
Petrolio, sfruttamento delle popolazioni locali, saccheggi, riscatti, traffico di esseri umani, estorsione, controllo delle infrastrutture, sono alcune delle fonti di finanziamento dello Stato Islamico che, insieme alle donazioni dei ricchi emirati del Golfo, in poco tempo è riuscito a mettere in piedi un organismo statale vero e proprio, in grado di pagare gli stipendi a quanti lavorano per lui. Fonti di intelligence americana sostengono che ogni giorno l’Isis incassi qualcosa come 3 milioni di dollari, che arrivano dai proventi generati dagli affitti degli immobili di cui si impadronisce. Una cifra che lo stesso Stato Islamico provvede a ripartire tra i suoi combattenti. Numeri che vanno a sostenere le tesi secondo cui il sedicente Califfato sia il gruppo terroristico più ricco nella storia, con un bilancio annuo di circa 3 miliardi di euro. Cifre che fanno impallidire al Qaeda, il cui bilancio si ferma a 150 milioni di dollari di fatturato annuo.
Le inchieste sulle fonti di finanziamento. Nel corso dell’ultimo anno, e cioè da quando la minaccia jihadista è diventata via via più concreta, sono stati pubblicate varie inchieste sulle fonti di finanziamento dell’organizzazione, che riportano anche stime su quanto guadagnano i miliziani al soldo del Califfo. Le più recente arriva dal sito Jihadology e riporta i documenti che l’analista del Middle East Forum Aymenn Jawad al Tamimi ricava da fonti dirette del ministero delle finanze del Califfato nella zona di Deir az Zor, nell’est della Siria. Il petrolio costituisce solo il 27,7% delle entrate statali, mentre le confische dei beni appartenenti alle popolazioni conquistate ammontano al 44,7%. Interessante notare anche le uscite della spesa pubblica, la cui voce principale è rappresentata dagli stipendi dei miliziani (43,6%). Il combattente di più basso rango si dice che riceva più o meno 500 dollari al mese, stipendio che sale in proporzione al ruolo ricoperto.
Dal petrolio… Con la conquista di gran parte dei pozzi petroliferi iracheni e siriani, lo scorso anno il Dipartimento del Tesoro americano ha stimato che l’Isis possa ricavare in media un milione di dollari al giorno. Ci sono però cifre considerate più realistiche, calcolate sulla base matematica della quantità dei barili che lo Stato Islamico è in grado di produrre ogni giorno, che abbassano nettamente il guadagno a 300mila dollari. Il che si deve anche al crollo del prezzo del greggio e dalla ridotta quantità di barili che attualmente si possono produrre quotidianamente. Se inizialmente i barili prodotti erano attorno ai 50mila ogni giorno, oggi non si va oltre i 20mila.
…all’arte. Assieme al petrolio, gli jihadisti coltivano anche il mercato dalla vendita di reperti archeologici e artistici. Quegli stessi reperti che vengono saccheggiati, più che distrutti, quando l’Isis prende di mira una città. Un’inchiesta della BBC dello scorso febbraio ha rivelato che i destinatari del contrabbando di questi oggetti è destinato principalmente collezionisti d’arte in Europa e Stati Uniti che commissionano all’Isis questi saccheggi. Svizzera, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Qatar sono le destinazioni principali. Un giro d’affari che secondo Unesco e Interpol si assesta tra i 6 e gli 8 miliardi di euro l’anno.
Il cotone. Tra le voci che contribuiscono a finanziare il terrore jihadista c’è anche il cotone. L’esperta di approvvigionamenti internazionali nel settore del tessile e dell’abbigliamento Anne-Laure Linget Riau ha pubblicato recentemente un’inchiesta su Le Monde che mostra come il cotone siriano venduto in Europa vada a finanziare le casse di al Baghdadi e soci per un ammontare di 150milioni di dollari ogni anno. Avendo conquistato gran parte del nord della Siria, dove si concentrano le piantagioni di cotone, lo Stato Islamico ha il controllo del 90% della produzione di cotone del Paese.
Le donazioni straniere. Oltre all’arte e al petrolio, però, è sorprendente notare come i privati siano tra i principali finanziatori dello Stato Islamico. Nessuna nazione del Golfo appoggia direttamente l’Isis, basti pensare che i sauditi sono i loro primi oppositori, ma da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Kuwait partono flussi di denaro da parte di privati cittadini che aiutano le milizie di al Baghadi con circa 50 milioni di euro all’anno, andando a rappresentare solo una minima parte (non più del 2%) delle finanze totali del gruppo. Altro dato interessante è quello relativo ai media: 155mila dollari al mese vengono usati per il “media centre” di Deir-az-Zor. Un valore che lascia intendere quanto siano importanti per il Califfato gli strumenti di propaganda e comunicazione, tra video sofisticati e account Twitter.
Il business degli ostaggi. Una delle voci principali nel bilancio dello Stato Islamico, tuttavia, è costituita dai proventi derivanti dai riscatti degli ostaggi e dai saccheggi delle popolazioni locali. Eclatanti sono i casi degli ostaggi occidentali, che dopo essere stati rapiti vengono decapitati. Ma ben più redditizio è il mercato nero dei riscatti. In Italia si è tornato a parlare di quanto sarebbe stato pagato dal Governo per la liberazione di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, col sospetto che dal nostro Paese siano stati versati ben 11 milioni di euro per il riscatto delle due cooperanti. Ma anche con i rapimenti della popolazione locale l'Isis tenta di "fare cassa", con preziari diversi: si va dai 20mila ai 50mila dollari chiesti alle famiglie (non di rado cristiani o yazidi) per liberare i loro figli o le loro donne. Quest'ultime, spesso, vengono vendute al mercato delle schiave, con ulteriori guadagni per lo Stato Islamico.