Il dietro le quinte

Il bidone dei diamanti in banca «La banca sapeva, eccome»

Il bidone dei diamanti in banca «La banca sapeva, eccome»
Pubblicato:
Aggiornato:

Un bidone. È difficile trovare un termine che descriva meglio l’investimento in diamanti che, dal 2011 al 2017, quattro dei maggiori istituti bancari italiani (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm e Mps) hanno proposto ai propri clienti attuando un ruolo di intermediazione per due società, la Intermarket Diamond Business (Idb) e la Diamond Private Investment, che acquistavano e, si è poi scoperto, vendevano a prezzi decisamente rialzati le pietre preziose. Su un totale di oltre un miliardo di euro investiti dai circa centomila investitori italiani, ben seicento milioni sono arrivati da clienti del Banco Bpm, di cui dal 2017 fa parte anche il Credito Bergamasco (che nel 2014 si era già fuso con la capogruppo Banco Popolare). In altre parole, una bella fetta di quei seicento milioni, ovvero decine di milioni di euro, sono di migliaia di bergamaschi che, in questi anni, si sono fidati di chi consigliava loro di investire in diamanti.

 

 

«Io ne ho piazzato soltanto uno, per di più a un cliente che insisteva molto. Se no evitavo, perché sapevo che c’era del marcio sotto» racconta oggi Giorgio (nome di fantasia), ex sportellista di una filiale Creberg di Bergamo. Un professionista esperto, che ha sempre vissuto il proprio lavoro come un servizio verso le persone che affidavano i risparmi di una vita alla banca. E che, davanti al caso dei diamanti, ha voluto raccontare come funzionavano le cose “dietro le quinte”, chiedendo però di poter mantenere l’anonimato. «Ogni mese, la filiale aveva un budget da raggiungere piazzando vari prodotti d’investimento ai clienti – spiega Giorgio –. Tra questi, c’erano anche i “brillanti”».

Banco Bpm, che a differenza di Intesa e Unicredit ha scelto di non rimborsare tutti i suoi clienti ma di valutare ogni singolo caso e, talvolta, proporre una specie di transazione che sta creando molto malcontento tra gli investitori, si difende spiegando che «la Banca, in virtù del contratto in essere con Idb, ha il ruolo di segnalatore di interesse finalizzato a mettere in contatto il soggetto interessato con la Società venditrice». In altre parole, l’istituto avrebbe svolto semplicemente un ruolo di intermediazione e non avrebbe conseguito alcun vantaggio o beneficio dalla vendita. «Balle – commenta senza mezzi termini l’ex sportellista –. La Idb faceva poco, pensavamo a tutto noi. Segnalavamo il cliente interessato e fornivamo alla società il profilo dell’investitore».

E la banca, stando a Giorgio, ci guadagnava: «Minimo il quindici per cento. Perché...»

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 5 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 12 aprile. In versione digitale, qui.

Seguici sui nostri canali