«La cascina Ponchia è stata sgomberata, ma posso dire che a me dispiace?»
di Matteo Rizzi
Dura lex sed lex, si diceva una volta. E quindi un po' tutti sapevano che sarebbe successo prima o poi. Però dispiace. Dispiace perché quando molti noi nati negli anni '90 erano piccoli la cascina era un rudere e faceva quasi paura, mentre dal 2013 era comunque un rudere, ma pieno di vita, accogliente e con persone con delle idee. Giuste o sbagliate dipende da ciò in cui si crede. Ma idee sincere.
Dispiace perché nei fatti la differenza tra ieri e oggi è che ieri c'era uno spazio, oggi c'è una casa murata. Dispiace perché tutti quei poliziotti in un quartiere così piccolo fanno male al cuore, e forse erano un po' eccessivi per prendersi uno spazio vuoto. Dispiace perché, politica o non politica, legale o non legale, lecito o non lecito, in kascina si stava bene. E non solo tra ragazzi, ma anche tra famiglie quando le iniziative si rivolgevano a tutti. Dispiace perché per il quartiere quello dell'occupazione della Ponchia è un capitolo di storia che si chiude. Perlomeno, che adesso si faccia il progetto, che non ci siano ritardi, che questo sgombero così altisonante abbia un seguito.
E ora che è tutto finito non ci si dimentichi cosa era la cascina prima del 2013: un luogo abbandonato e senza futuro. Non c'è la controprova, ma siamo sicuri che senza occupazione ci sarebbe stato davvero un progetto concreto per la Ponchia? La legalità è stata ripristinata. Ma a bocce ormai ferme sarebbe bello che il Comune riconoscesse l'onore delle armi a un progetto che nonostante fosse illecito ha portato perlomeno al riconoscimento della Ponchia come un luogo da salvaguardare. In cascina c'erano dei libri e degli oggetti personali: è davvero il caso di sequestrare anche quelli?