Il contenzioso con Danimarca e Canada

La corsa russa al Polo Nord

La corsa russa al Polo Nord
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La Russia è il più grande Paese al mondo per estensione e, come se non gli bastasse, l'anno scorso ha annesso anche la Crimea, togliendola all'Ucraina. Ma sembra non bastare se è vero, come spiega nel dettaglio il New York Times, che ora Mosca ha messo gli occhi su una vasta area dell'Oceano Artico (1,2 milioni di chilometri quadrati) che include anche il Polo Nord. Se il comitato delle Nazioni Unite che arbitra i confini dei mari accettasse la richiesta russa, le acque saranno soggette al controllo del Cremlino per quanto riguarda le questioni economiche, inclusa la pesca e l'estrazione di petrolio e di gas.

 

 

Cosa dice la Legge del Mare. Secondo la Legge del Mare (Law of the Sea), una convenzione stabilita dalle Nazioni Unite nel 1982, una nazione può reclamare una zona economica esclusiva sulla zolla continentale che si appoggia alle sue sponde. Se la zolla si estende fino al mare aperto, anche i confini del Paese possono essere dilatati. La Russia sostiene perciò che la mensola continentale loro vicina comprende le estremità settentrionali dell'Eurasia, fino alla sommità ghiacciata del nostro pianeta. Il Paese aveva già sporto una richiesta simile nel 2002, ma in quell'occasione le Nazioni Unite l'avevano respinta per mancanza di un sostegno scientifico. Mosca ha imparato la lezione ed è corsa ai ripari. Questa volta, il Cremlino ha offerto nuove prove, fornite dalla sua flotta di ricerca. Ma ha fatto anche di più: il noto esploratore artico Artur N. Chilingarov ha messo un sottomarino in miniatura sul fondale marino sotto il Polo Nord, ha preso un campione di suolo e ha piantato una bandiera russa fatta di titanio. Il messaggio non poteva essere più chiaro.

 

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Un interesse di lungo corso. L'interesse della Russia per le regioni artiche non nasce ieri, del resto. Le mosse di avvicinamento al Polo Nord hanno avuto un lungo corso e si può dire siano cominciate nel 1948, quando il territorio artico fu esplorato per la prima volta da un gruppo di sovietici al comando di Aleksandr Kuznecov. Il Cremlino reclamò un'ampia porzione di Oceano Artico, tutta quella compresa tra i confini orientali della Madrepatria fino alle coste occidentali del Polo Nord. Poi per anni nessuno cercò di annettere il territorio, almeno finché il riscaldamento globale non ha causato il ritiro dei ghiacci, facendo scoprire ricchissimi giacimenti di petrolio e gas naturali. Non pochi Paesi, quindi, hanno incominciato a trivellare sempre più a Nord: la Russia nel Mar di Kara, gli olandesi al nord dell'Alaska. La Danimarca, proprio come i Russi, ha cercato di espandersi attorno al Polo Nord, affermando che l'area fa parte della zolla continentale che si estende a nord della Groenlandia, e non della Russia.

 

 

L'opposizione degli ambientalisti. I gruppi ambientalisti si sono subito opposti alle pretese di Mosca. All'inizio di agosto Greenpeace ha pubblicato una dichiarazione da parte di Vladirmir Chprov, il quale sostiene che «lo scioglimento del ghiaccio artico sta scoprendo un mare nuovo e vulnerabile, ma paesi come la Russia e la Norvegia vogliono trasformarlo nella prossima Arabia Saudita». Non che la Russia non stia già sfruttando le risorse artiche: da decenni possiede ben 25 miniere in libertà ed è la nazione che più delle altre sta inquinando l'ambiente del Polo. I danni arrecati dal Cremlino sono molto più ingenti di quelli dovuti allo sfruttamento del Canada, altro paese rivale nella corsa al Grande Nord. Ciò è dovuto al fatto che Ottawa ha una legislazione più rigida, in materia di sfruttamento ambientale.

 

 

I tre grandi contendenti. Al momento, quindi, Russia, Danimarca e Canada sono i grandi rivali di un contenzioso che darà i suoi frutti tra qualche decina di anni. Come ha spiegato Michael Byers, professore all'Università della Columbia Britannica, «al momento estrarre petrolio nella regione non è molto conveniente, ma lo sarà nel giro di dieci o vent'anni. Le compagnie petrolifere effettuano ricerche per trovare risorse che al momento non sono sfruttabili. Per ora non hanno intenzione di estrarre quel petrolio, vogliono solo aumentare il prezzo delle loro azioni». È una prospettiva economicamente allettante per qualsiasi Paese, tanto da rendere minime le possibilità che le acque artiche restino sotto il controllo della comunità internazionale.

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