La denuncia: «Per trasferire un parente ricoverato in una Rsa servono anche 9mila euro»
L'allarme, lanciato dalla Cisl, è scattato dopo la segnalazione fatta dalla figlia di una signora ricoverata in una residenza bergamasca. A complicare la procedura sarebbe la delibera approvata dalla Regione lo scorso giugno
Ormai è cosa nota: le Rsa in seguito all’epidemia versano in una condizione di grave crisi economica e occupazionale. Come lamentato più volte dalle sigle sindacali, la recente delibera regionale invece di snellire le pratiche ha reso ancor più difficile la ripartenza, nonostante la lunga lista di persone in attesa di ricovero. A queste preoccupazioni, adesso, se ne aggiunge una ulteriore: ossia l’arrivo di telefonate al sindacato (tra sportelli Adiconsum e uffici della Fnp) che denunciano «quasi un sequestro di persona a scopo estorsivo». In alcune Rsa private accreditate, infatti, la delibera approvata lo scorso giugno verrebbe utilizzata come “forma di ricatto” nei confronti delle famiglie che intendono trasferire in altre case di riposo i propri parenti.
Nello specifico, è il caso denunciato alla Cisl dalla figlia di una signora ricoverata in una residenza bergamasca, che parla di quote “impazzite” nel caso di un’eventuale richiesta di dimissioni. «Soprassediamo che per le pratiche legate al tampone sono richiesti 100 euro. Tralasciamo il fatto che la camera singola da 100 euro al giorno, come previsto in contratto, la faranno pagare 200 euro al giorno per i 15 giorni di quarantena prima dello spostamento. Ma sono i 25 euro all'ora per 24 ore per 15 giorni (per un totale di 9mila euro) per la sorveglianza dei malati affinché non vengano in contatto tra loro in caso non abbiano molte camere singole a disposizione a gridare allo scandalo, anche perché mia madre è allettata, come molti altri ospiti».
«Capisco che la residenza avrà difficoltà nel momento in cui ci sarà un esodo di massa degli ospiti che, come mia madre, stanno aspettando di trasferirsi nelle strutture convenzionate – prosegue la signora -. Tuttavia lo facciamo per una mera questione economica: circa 3mila euro al mese di retta contro 1800 fanno la differenza per chi dispone solo della pensione e di qualche risparmio. Richiedere 9000 euro in più per poter andare in un'altra struttura mi pare quasi un'estorsione legalizzata».
La Cisl spiega che una lettera della stessa Rsa riporta nero su bianco tutti i passaggi necessari per le dimissioni e anche per uscire a fare visite specialistiche (un eventuale risultato positivo del tampone potrebbe costare alla famiglia del ricoverato che rientra da una visita specialistica circa 2800 euro), il tutto in assoluto rispetto della delibera con cui Regione Lombardia tenta di governare il ritorno alla normalità dopo l’emergenza Coronavirus.
«Tutto questo non succede se non si chiede il trasferimento in un’altra struttura – sottolinea Caterina Delasa, segretaria generale Fnp Cisl Bergamo -. Il fatto è che poco prima e durante l’emergenza alcune famiglie si sono trovate obbligate a far ricoverare i propri cari in strutture private accreditate, perché quelle pubbliche non avevano posto. Oggi, le disposizioni regionali e le tariffe delle strutture rischiano di strangolare quanti siano sopravvissuti al virus».
«Il caos creato da Regione, Ats e strutture rischia di riversarsi sulla popolazione anziana e sulle loro famiglie - aggiunge Mina Busi, presidente di Adiconsum cui questa denuncia è formalmente arrivata -. Solo a Bergamo, in lista d’attesa ci sono migliaia di anziani per i quali le famiglie fanno i salti mortali per organizzarsi e accudirli, mentre nelle Rsa bergamasche circa 1800 posti sono liberi. È una vergogna che un territorio civile non si merita».
«La questione è di una gravità assoluta e non possiamo non denunciarla – stigmatizza Mario Gatti, della segreteria provinciale della Cisl -. È una situazione non semplice, creata da una Regione che dispone regole complesse ponendo i costi a carico dei parenti».
«Non si può stare zitti, fare finta di non sapere, di non vedere perché la cosa non ci tocca direttamente – conclude Emilio Didonè, segretario generale di Fnp Lombardia -. Siamo di fronte ad una vera e propria forma di ricatto nei confronti di famiglie e persone lasciate sole. Questo Paese, questa Regione, questa politica devono affrontare seriamente i temi della vecchiaia, della disabilità e della non autosufficienza. In questo Paese, non si riconoscono i principi e diritti inviolabili costituzionali di tutela della salute». Presidente Fontana, quante altre situazioni simili come quella denunciata esistono in Lombardia?».