Processo Bossetti, quinta udienza

La grande caccia a Ignoto 1 e quell'errore tutto da spiegare

La grande caccia a Ignoto 1 e quell'errore tutto da spiegare
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Da una prima comparazione del dna mitocondriale Ester Arzuffi non risultò esser madre di Ignoto 1. Lo ha spiegato in aula l'ex capo della Mobile di Bergamo, Gianpaolo Bonafini. La madre di Bossetti era in una lista di 33 donne emigrate dalla Val Seriana all'Isola Bergamasca, che potevano in teoria aver avuto una relazione con Giuseppe Guerinoni, l'autista di Gorno padre naturale di Ignoto 1. Il campione le fu prelevato il 27 luglio 2012. «Ma il primo match fu negativo» ha ammesso Bonafini. Perché in seguito si trovò la corrispondenza? Bonafini non l'ha potuto spiegare, perché quando accadde lui era già stato trasferito a Venezia. Da quanto è trapelato finora dalle indagini, la Arzuffi non fu individuata inizialmente perché i profili genetici delle 33 donne erano stati comparati per errore non con il dna mitocondriale di Ignoto 1, bensì della povera Yara. Un punto cruciale, attorno a cui ruota quasi tutto il processo, e che andrà per forza chiarito nelle prossime udienze.

Da Damiano a Giuseppe Guerinoni. Ma come partì la grande caccia a Ignoto 1? Da Damiano Guerinoni, frequentatore della discoteca Sabbie Mobili accanto al campo di Chignolo. Il suo cromosoma Y, quello che identifica la parentela in linea paterna, risultò identico a quello della traccia trovata sugli slip di Yara. Lui però aveva un alibi d'acciaio: quel 26 novembre era in Perù ad aiutare i bambini con una ong. Perché allora prelevargli il dna? «Perché noi cercavamo un ceppo familiare su cui indagare e quindi anche il suo profilo genetico poteva comunque darci indicazioni utili in questo senso» ha detto Bonafini. Damiano, cugino inconsapevole di Bossetti secondo la scienza, scrisse una lettera alla madre di Yara dal Sudamerica, per esprimerle la sua vicinanza dopo la tragedia. Sua mamma, inoltre, era stata a lungo domestica di casa Gambirasio. Fu lei a consegnare la lettera del figlio a Maura. Le due famiglie si conoscevano. Ma è solo una coincidenza, seppur clamorosa: Damiano e la madre, secondo quanto emerso, non sapevano nemmeno dell'esistenza di Bossetti. Però proprio da lui si risalì di parentela in parentela, fino a Giuseppe Guerinoni. Bonafini ha aggiunto che si pensò subito a un killer che conosceva la zona, perché «in fondo a via Bedeschi non si poteva arrivare per caso, non si tratta di una strada di passaggio tra Brembate e Chignolo». Secondo l'ex capo della Mobile la polizia entrò in campo solo il 30 novembre, quattro giorni dopo la scomparsa di Yara, quando la questura si fece avanti di sua iniziativa per dare un contributo alle indagini.

 

Yara: Ros, 6 volte furgone di Bossetti intorno a palestra

 

Il furgone non perquisito. Durante l'udienza non sono mancate le sorprese. La prima. Nei giorni successivi alla scomparsa la palestra di setacciata da cima a fondo. Ma il furgone del custode non fu perquisito. Nonostante una delle insegnanti di Yara l'avesse incrociato in manovra verso le 19.30. Al volante c'era il custode. «Ma su di lui non era emerso nulla, dunque non c'era necessità di analizzare il mezzo» ha tagliato corto Bonafini. Ma Paolo Camporini, legale di Bossetti, ha attaccato: «Scusi, ma le pare poco che ci fosse un furgone sul luogo della scomparsa?». Uscendo dal tribunale, l'avvocato Claudio Salvagni ha rincarato la dose: «L'inchiesta è stata enorme, ma presenta lacune evidenti».

 

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Il mistero delle walkie-talkie. Interessante anche la vicenda delle walkie-talkie. Una donna disse di aver captato un'interferenza tra le 18.15 e le 19.15 del 26 novembre 2010, in cui un personaggio senza inflessioni dialettali diceva: "Ce l'ho, l'ho presa, sto arrivando". La polizia verificò che effettivamente la portata dell'apparecchio ricetrasmittente arrivava fino alla zona della palestra. Ma gli accertamenti successivi non portarono a nulla. Nel pomeriggio l'udienza è ripresa con l'audizione del commissario Dario Redaelli, che coordinò i rilievi della polizia scientifica sul campo di Chignolo. “Il corpo non si vedeva da via Bedeschi, perché la sterpaglia era fitta. Bisognava avvicinarsi a pochi metri per scorgerlo”. E poi ha confermato che Yara stringeva nel pugno un ciuffo d'erba ancora radicato, segno che la sua giovane vita si spense in quel luogo desolato.

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