La rabbia di Mario Carrara, barista di Curno: «Dateci tre mesi di fatturato»
Il proprietario del Vice aveva chiuso, come altri, già prima del decreto. Tanta pazienza, ma ora la situazione è troppo grave: «Aprire alle condizioni paventate è impossibile. Soldi subito sul conto e linee guida precise»
di Monica Sorti
Mario Carrara, proprietario del bar Il Vice di Curno, è stato uno dei commercianti che, coscienziosamente e responsabilmente, si sono auto imposti la chiusura dell’attività ancor prima che la chiusura diventasse obbligatorio per legge. Dall'inizio della quarantena ha sempre lanciato messaggi di speranza sui social, spronando a non mollare. L’ultimo video, però, non era proprio di fiduciosa aspettativa. Era il discorso concreto e appassionato di chi, dopo aver fatto i conti con la pazienza e il buonsenso, si trova di fronte a un immobilismo istituzionale che comincia a stargli stretto. Un video che ha avuto tantissime visualizzazioni, con commenti e messaggi che sono arrivati a Mario da ogni parte d’Italia. È stato intervistato dall'inviata de La vita in diretta ed è andato in onda lunedì 20 aprile su Rai Uno.
Cosa è cambiato ultimamente? «Siamo in attesa di lavorare ma il problema è che non si vedono né direttive né prospettive e questa cosa ci preoccupa. Se è vero che le previsioni sono quelle paventate, è impossibile cominciare. Parlano di due addetti e un cliente per 40 metri quadri di locale. Ma in questo modo non riusciamo a far fronte a certi costi. Per assurdo è meglio stare chiusi, ci costa di meno». A oggi Mario ha dieci dipendenti, tra i fissi e quelli a chiamata. «Ora hanno la cassa integrazione. Restano comunque l’affitto, che stiamo ritrattando, e le utenze . È ovvio che non lavorando non entrano più i soldi, ma mettere in piedi una cosa che costa più di quello che incassi non va bene. Non possiamo pensare di lavorare a singhiozzo».
Il Vice è un locale dotato di un grande spazio esterno e di un piano superiore con una metratura importante. «Rispetto a un bar più piccolo, noi potremmo anche organizzarci in modo diverso. Ma dovrebbero darci delle indicazioni migliori su come affrontare la riapertura. Ora anche la gente è più responsabile, abbiamo tutti le mascherine e dobbiamo pensare di convivere con questo virus».
Per quanto riguarda il suo settore, Mario spiega che i dati sono raccapriccianti, con bar che non riapriranno o riapriranno e poi falliranno, con fatturato a picco. «Per non parlare del fatto che qua di soldi non se ne vedono. Anziché snellire le procedure per ottenerli, vengono complicate. I miei colleghi la pensano tutti come me, dopo il video mi ha chiamato mezzo mondo, ci siamo confrontati». L’immobilità delle istituzioni è la cosa che più li sta facendo preoccupare. «Non sappiamo come ripartire, servono i soldi ma non ce li danno. Possono darci il 25 per cento del fatturato, presentando i bilanci. È una cifra equa, perché se si pensa ai tre mesi di chiusura, è proprio quello l’ammanco che abbiamo avuto. Una parte dovrebbero essere a fondo perduto e una parte a tasso agevolato. Perché dobbiamo ripartire. Ma i soldi non ci sono. Arrivati a questo punto siamo davvero arrabbiati, perché la situazione è molto grave e c’è di mezzo il lavoro di tante persone».