La raccomandazione di Remuzzi: chi ha più di settant'anni non esca (se possibile)
Dobbiamo prepararci, stare attenti, gli ospedali si stanno organizzando. Ma non si paragoni questo momento con il marzo scorso
di Paolo Aresi
«Guardi, dobbiamo prepararci, dobbiamo stare molto attenti. Infatti l’ospedale si sta organizzando, dal pronto soccorso alle terapie intensive, agli infettivi fino alla sezione staccata della Fiera di Bergamo. Detto questo, però non si venga a paragonare questo momento con il mese di marzo scorso: non c’è nemmeno il più lontano confronto. Chi dice queste cose fa del terrorismo, oppure non ha idea di che cosa sia successo a Bergamo e al Papa Giovanni in quel mese terrificante. Adesso la situazione da noi è di attenzione, ma ancora abbastanza tranquilla. Oggi abbiamo nove ricoverati in terapia intensiva e una cinquantina nei reparti».
Significa che a giovedì 22 ottobre, la situazione nella Bergamasca era ancora calma. Nove ricoverati in terapia intensiva, di cui solamente due intubati. Non tutti e nove sono però bergamaschi. Anche la cinquantina di degenti negli altri reparti, a causa del Covid, sono di provenienza varia, molti arrivano da fuori provincia. Perché se la Bergamasca sta affrontando questi giorni con relativa tranquillità, l’area milanese è invece sotto stress e il sistema ospedaliero del capoluogo risulta in difficoltà. Anche perché il famoso ospedale da campo della fiera di Milano sembra avere un’ulteriore magagna: i bagni non sono sufficienti. I posti letto, a pieno regime, dovrebbero essere 221, ma nel caso venissero attivati non si saprebbe dove andare a prendere il personale. Per ora, i posti letto pronti (ma non ancora utilizzati) sono 54.
Ma torniamo a Bergamo. I media continuano a martellare con numeri a effetto. Si punta soprattutto sul numero di “positivi” al coronavirus che vengono scoperti grazie alle migliaia di tamponi effettuati. Si continua a non dire quale sia la carica virale, come, del resto, non si è mai detto in questi mesi. Uno studio del Mario Negri di Bergamo su 423 persone di Bergamo ha rivelato che il 38,5 per cento era positivo al test sierologico e ha sviluppato gli anticorpi contro il coronavirus. Scrivono i responsabili dello studio: «Si può ipotizzare in provincia di Bergamo una circolazione del virus che arriva a toccare le 420 mila persone, contro le quasi 16 mila segnalate al 25 settembre 2020. Ciò indicherebbe che il novantasei per cento delle infezioni da Covid-19 non è stato rilevato dal sistema sanitario». Il primo autore della ricerca è Luca Perico, il quale afferma che lo studio ha confermato che il test rapido “pungidito” messo a punto da Prima Lab è «sovrapponibile al test venoso “Elisa” (fatto con prelievo di sangue) per quanto riguarda sensibilità e specificità. Il pungidito è quindi uno strumento prezioso per identificare, nel giro di soli dieci minuti, soggetti che siano venuti a contatto con il virus». Dei positivi al test sierologico solamente 23 persone si sono poi rivelate positive anche al tampone, ma con una carica virale talmente bassa da non risultare nemmeno più infettivi.
Ora, bisogna considerare un altro elemento: più persone sono positive al coronavirus e più aumenta il numero di coloro che sono dotati di anticorpi, quindi non più attaccabili. Va lentamente a rafforzarsi lo “scudo” naturale, sebbene certamente non sia ancora l’immunità di gregge.
Comunque non dobbiamo dimenticare che dietro i numeri eclatanti di nuovi positivi che ogni giorno vengono segnalati, esistono dati riguardanti la vera gravità, cioè le cifre che riguardano i ricoveri in ospedale e nelle terapie intensive.
Sappiamo che i numeri dei positivi in Lombardia sono alti, soprattutto a Milano. Ma le cifre da tenere d’occhio sono soprattutto quelle dei ricoveri. La progressione per quanto riguarda le terapie intensive della Lombardia è questa: venerdì 16 ottobre i ricoverati erano 71, sabato 96, martedì erano saliti a 123, mercoledì a 134 e ieri, giovedì, hanno raggiunto quota 156. Una crescita reale, preoccupante, ma lontana dalla tragedia del marzo scorso. Di cui dobbiamo fare tesoro: per questa ragione gli esperti raccomandano alle persone al di sopra dei settant’anni di non uscire di casa, se possibile; dei 36 mila morti in Italia per Covid-19, 33 mila avevano più di 70 anni. Ha detto Giuseppe Remuzzi, direttore del Mario Negri: «Gli ultrasettantenni rischiano molto di più degli altri. Bisogna urgentemente trovare il modo non di obbligarli, ma di convincerli. (...)