Perché sempre lui?

La solitudine di SuperMario

La solitudine di SuperMario
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Why always you, Mario? Perché sempre tu, anche adesso che l'universo non fa più baccano e ha lasciato spazio alla tua strana solitudine, perché fai sempre notizia, Mario? Balotelli è solo, si allena da solo, non ha più nessuno. Né una squadra né un allenatore, a Liverpool non lo vogliono più. Lo hanno messo fuori rosa lasciandolo a casa dalla tournée in Australia. Lo avevano preso dal Milan per 20 milioni cresta inclusa. Lo venderebbero volentieri a metà prezzo, scontato, o in prestito (2 milioni) con un diritto di riscatto fissato a 18. Ah, lo stipendio per tre quarti lo pagano loro, gli inglesi, e se questo non è un incentivo sufficiente allora cos'è? Why, perché sempre tu Mario? Che adesso nemmeno l'Italia ti vuole più. Mino Raiola ha tentato un gioco di prestigio: un prestito alla Lazio, un allunaggio alla Fiorentina, male che vada c'è il Bologna. Niente. Tutti ringraziano, sarebbe un colpo dicono, ma poi c'è sempre una scusa da accampare purché Mario resti dov'è (o vada al massimo da un'altra parte): stipendio alto, cose così.

 

Mario Balotelli

 

C'è qualcosa di assurdo nell'universo di Balotelli, un mondo senza gravità ma con tanta forza centripeta, un demone oscuro arrivato troppo in fretta eppure non sufficientemente pazzo perché Mario entri nella hall of hame dei calciatori dannati, ancora. I paragoni con Best, Gascoigne e tutti maledetti sono roba da propaganda sovietica. Mario non è decisivo. Non vince le coppe da solo, giusto qualche partita, ma non è la stessa cosa. Mario non beve, non spreca se stesso e il suo talento. Mario è solo adolescente. Una lista di psicologi lunga così sostiene di aver in pugno la soluzione, il lampo di genio: date a Mario una figura paterna e vi solleverà il calcio, quello italiano almeno. Ci era riuscito Roberto Mancini, l'unico, ai tempi dell'Inter, quando ancora Balotelli era un divo in embrione. E poi? Bravate, litigi, tweet, soldi buttati, selfie da sottoporre al dottor Freud. Come quella volta che si scattò una foto con un fucile puntato nell'occhio della camera: «Un bacio a chi mi odia». Hasta la vista, baby.

 

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La storia di Balotelli potrebbe essere quella di David Copperfiled, cominciata in tragedia e arrivata al lieto fine. Invece è l'elegia oscura di uno dei personaggi di Jean Claude Izzo, perduti e alla deriva. All'inizio era l'idolo delle folle. Lo era all'Inter, in parte al Manchester City, poi al Milan. Nel 2012, agli Europei, i due gol segnati alla Germania, sembrano la definitiva consacrazione di un talento fatto di potenza. I ragazzi vedono in Mario la riscossa, il senso di una vita che sboccia anche se difficile, è simbolo di uguaglianza, fraternità. E poi? Al Giornale Michele Cucchi, direttore sanitario del Centro medico Santagostino di Milano, ha detto così: «Capita di confrontarci con i nostri limiti, di soffrire. A volte le salite sono lunghe, ma alla fine arriva la discesa. E la salita di Balotelli è durata molto, non è riuscito a capire che era la sua salita, la sua opportunità di crescere». L'aveva avuta l'anno scorso, ai Mondiali in Brasile. Cesare Prandelli gli affida le chiavi del progetto Italia, ma Balotelli spreca tutto come una palla sporca in allenamento. Litiga con la squadra, con il ct, con chiunque. Si fa terra bruciata intorno.

 

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È volato a Liverpool sperando che l'Inghilterra lo accogliesse, lo comprendesse, mica come in Italia. E invece. Si è accontentato di giocare poco, di filmare acrobazie da pubblicare sul suo profilo di Instagram. L’ultima: una ruota volante, seguita da un salto mortale all’indietro, lì sul prato della sua casa di Formby. Una lussuosa villa dove vive in affitto assieme al fratello Enoch. Adesso esce poco, non tira l'alba, non va in disco. Esce giusto per andare agli allenamenti al centro di Melwood, o per mangiare qualcosa al solito ristorante italiano, il San Carlo. Quando il 3 luglio scorso è morto Franco, il papà adottivo di Mario, la malinconia di Balotelli si è fatta più fitta, più densa, impenetrabile come certe nebbie in Pianura Padana. E la sua vita qualcosa di più distante, da raccontare in terza persona: «Balotelli sorride! Non è triste né arrabbiato. Buongiorno», ha twittato ieri.

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