La strategia militare degli Usa che temono più la Russia dell'Isis

Il Pentagono ha aggiornato la sua strategia globale di difesa e l’ha resa pubblica mediante il rapporto intitolato “2015 National Military Strategy”, stilato dal capo di Stato Maggiore americano Martin Dempsey. Secondo quanto emerge dal documento a rendere necessario l’aggiornamento sono le minacce che arrivano agli Stati Uniti da Russia e Cina, che potrebbero portare a coinvolgere l’America in un conflitto dalle conseguenze devastanti. Più nel dettaglio si legge ne rapporto che la Russia «ha ripetutamente dimostrato che non rispetta la sovranità dei suoi vicini e la sua volontà di ricorrere all'uso della forza pur di raggiungere i propri obiettivi», mentre la Cina è responsabile secondo il Pentagono di attività che «stanno alimentando la tensione nella regione Asia-Pacifico». In questo ultimo caso è chiaro il riferimento alla costruzione di isole artificiali nel mar Cinese meridionale. Non è quindi l’Isis, che sta insanguinando il Medio Oriente e il Nordafrica, a far paura agli americani, ma la Russia e la Cina.
Le accuse alla Russia. Quello che l’America non digerisce del comportamento russo è dovuto alla crisi ucraina. Di Mosca viene apprezzato il contributo nella lotta al traffico di droga e al terrorismo. Ma agli americani proprio non piace il comportamento seguito dal Cremlino in Ucraina. Il Pentagono sostiene che «le azioni militari russe stanno minacciando direttamente o per procura la sicurezza regionale». Quello che preoccupa in modo particolare gli Stati Uniti è la perdita del loro storico vantaggio militare di fronte allo sviluppo delle tecnologie da parte russa. Al riguardo il rapporto della difesa americana è molto esplicito: «Quando si applicano a sistemi militari, questa diffusione di tecnologia va a sfidare il vantaggio competitivo a lungo detenuto dagli Usa in settori come l'allarme rapido per l'individuazione di una minaccia e i bombardamenti di precisione».
E quelle alla Cina. Anche nel caso cinese il documento del Pentagono parte da una base positiva, affermando che gli Stati Uniti vogliono vedere la Cina come un «partner nella costruzione della sicurezza globale», ma finora le azioni del gigante asiatico «hanno solo creato tensioni nella regione Asia-Pacifico». Per contrastare queste tensioni l’America si è detta pronta a continuare a «modificare l'equilibrio nella regione» insieme con i suoi alleati: Australia, Giappone, Corea del Sud, Filippine e Tailandia.
Gli Stati Uniti pronti alla guerra. In altre parole gli Stati Uniti sono pronti a scendere in guerra contro Cina e Russia, sebbene siano fermamente convinti che nessuno di questi Stati voglia imbarcarsi in un conflitto contro di loro. La probabilità, secondo il generale Dempsey è “bassa”, ma pur sempre “crescente”, e si inserisce nella vocazione, tutta americana, alla difesa della sicurezza e delle democrazia nel mondo. Il Pentagono, nel testo, ribadisce che gli USA sono la nazione «più forte del mondo, che dispone di vantaggi unici in tecnologia, energia, alleanze e demografia». Elementi che, secondo loro, vengono messi a rischio dall’emergere delle nuove potenze militari. Per ribadire il desiderio di esportare il modello di supremazia americana il Pentagono ci va giù duro: «Siamo pronti a usare il potere in tutte le direzioni al fine di fermare l'aggressione e vincere le guerre. Anche se noi preferiamo agire con i nostri alleati, gli Usa agiranno unilateralmente se la situazione lo richiede». Il Pentagono, però, non parla solo di Russia e Cina. Essendo un aggiornamento del libro bianco della difesa di quattro anni fa, compaiono anche riferimenti all’Europa e al Medio Oriente, sfiancato dalla minaccia Isis. In Europa gli USA aumenteranno la loro presenza e «offriranno tutte le garanzie di sicurezza» agli alleati della Nato, mentre in Medio Oriente è sempre più fermo il principio di vicinanza a Israele, per aiutare i suoi partner vitali nella regione (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto). Impegno anche in Africa, per aiutare quanti «promuovono la stabilità e la pace e la lotta contro l'estremismo regionale», e in America Latina, aiutando quei Paesi che promuovono la stabilità regionale e la lotta contro la criminalità organizzata.
La reazione russa. La notizia della probabilità di una nuova guerra non è stata gradita da Russia e Cina, i due Paesi che insieme a Iran e Corea del Nord, sono nel mirino del rapporto del Pentagono. In particolare Mosca si è detta rammaricata per quanto diramato dal Pentagono. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov ha dichiarato: «L'emergere di tale linguaggio nel documento testimonia un atteggiamento conflittuale, privo di qualsiasi obiettività nei confronti del nostro Paese, anche nel lungo termine», aggiungendo che «l’ostilità verso la Russia è la testimonianza di un approccio di sfida privo di obbiettività», che non aiuta a «orientare le nostre relazioni bilaterali verso la normalizzazione». Non tace nemmeno il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, che a sua volta si è appellato alla cooperazione internazionale, ribadendo che da soli gli Usa non possono risolvere nemmeno uno dei conflitti in corso.
La risposta di Pechino. Per tutta risposta i cinesi si sono limitati ad agire, dando il via a una mega-esercitazione nel Mar Giallo con il coinvolgimento di navi da guerra, aerei da combattimento e forze terrestri, come pure un ampio impiego di missili, siluri e proietti di artiglieria, in gran parte di ultimissima generazione e tutti perfettamente funzionanti. Soprattutto, novità assoluta, sono state condotte manovre di rifornimento missilistico in combattimento, simulando così quanto potrebbe avvenire nel corso di una battaglia vera e propria.