La tragedia del treno a Pioltello Non si accetta nessuna scusa
Sono stati sette giorni surreali per i pendolari di tutta la Lombardia. Negli occhi le immagini delle carcasse accartocciate contro i pali dell’alta tensione di quel disgraziato Cremona-Treviglipo-Porta Garibaldi che la mattina del 25 gennaio si è schiantato a Pioltello; nelle orecchie una serie infinita di «ci scusiamo per il disagio» che risuonano dagli altoparlanti di treni e stazioni, con i lavori per riabilitare la tratta che stanno causando la soppressione di decine di convogli ogni giorno, per non parlare dei ritardi. Nella testa infine una voce straziante che ricorda, ogni momento, che tre persone sono morte per colpa della superficialità di qualcuno. Già, “qualcuno”: quello che tutti chiedono, in questo momento, sono i nomi dei responsabili. Capire cosa sia successo e perché.
Fare i pendolari è uno sport estremo. Prima lo si diceva scherzando, per sdrammatizzare sugli infiniti disagi che i trasporti ferroviari impongono a chiunque abbia la disgrazia di dover viaggiare ogni giorno per lavoro o per studio. Ora lo si dice con la tragedia negli occhi. Perché la causa di ogni disagio quotidiano è la stessa della tragedia di Pioltello: servizi ferroviari ammuffiti e superficialità gestionale, oltre che la completa assenza di rispetto nei confronti di clienti che non hanno alternative.
L’incidente e la causa. Secondo le prime ricostruzioni di Polfer e Procura l’incidente sarebbe stato causato da un disallineamento delle barre di acciaio che componevano il giunto, dovuto probabilmente all’assenza del dado che reggeva uno dei quattro bulloni nel tratto in cui le ruote sarebbero uscite dai binari. Brutalmente: c’era un buco di ventitré centimetri sulla rotaia. Probabile e tenuta in serissima considerazione dalle indagini anche l’ipotesi di un'avvenuta segnalazione del problema da parte di un operaio nelle settimane precedenti allo schianto, così come quelle di un intervento “tampone” messo in atto per garantire il transito dei treni in attesa di una riparazione definitiva del tratto. L’inter vento provvisorio sarebbe appunto l’inserimento nel “buco” della rotaia del “famoso” pezzo di legno ritrovato sul luogo del deragliamento, che avrebbe dovuto mantenere allineate le sbarre della rotaia in quei ventitré centimetri. Il pezzo di legno poi non avrebbe più retto la pressione esercitata dal continuo traffico ferroviario, causando quindi il cedimento del giunto e il conseguente disallineamento delle sbarre.
Stando al verbale della Polfer, le ruote delle prime carrozze sarebbero passate quindi sulle sbarre disallineate, continuando sullo spigolo delle rotaie per qualche minuto, come dimostrerebbero i segni sulla massicciata e sulle traversine. Gli sbalzi, di cui numerosi passeggeri coinvolti hanno dato testimonianza, sarebbero dovuti a un ripetuto “entrare e uscire” delle ruote dai binari, fino al definitivo deragliamento avvenuto quando il gancio tra il terzo e il quarto vagone non ha più retto la pressione e si è rotto. A quel punto il vagone staccatosi dal convoglio si sarebbe rivoltato di novanta gradi, schiantandosi a centoquaranta chilometri orari (quella era appunto la velocità del treno in quel momento, verosimilmente mantenuta o al massimo ridotta di poco dal vagone dopo il cedimento del gancio) su un palo dell’alta tensione. Il resto è tristemente noto: tre vittime, decine di feriti, tante strazianti domande, pochissime risposte.
Di chi è la colpa. Insospettato e in fin dei conti insospettabile lo sventurato macchinista cremonese, il 36enne Renato Signorini...»