Le conseguenze economiche del Covid

L'allarme della Cgil: «A Bergamo disagio crescente. Servono nuovi strumenti»

Soltanto gli sportelli della sigla sindacale (alla data di giovedì 9 luglio) hanno presentato 640 domande di reddito di emergenza, 353 per il bonus colf e fornito assistenza per la compilazione di 581 domande per il bonus di 600 euro destinato alle partite Iva

L'allarme della Cgil: «A Bergamo disagio crescente. Servono nuovi strumenti»
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Prima dell’emergenza sanitari,a in provincia di Bergamo i poveri “assoluti”, cioè coloro che non possono acquistare quell’insieme di beni e servizi considerati essenziali per avere uno standard di vita minimamente accettabile, erano circa 60mila (oltre il 5 per cento dei residenti). Livelli di vulnerabilità che sono stati aggravati dallo shock sanitario, dalla chiusura di numerose piccole imprese artigiane, dalla messa in cassa integrazione o, dalla vera e propria perdita del lavoro, per non parlare dell’isolamento coatto che hanno dovuto vivere le persone anziane.

In queste settimane i Caf della Cgil, il patronato Inca, Nidil (la categoria che si occupa di collaboratori e partite Iva) hanno visto lievitare macroscopicamente le richieste di aiuto, ritrovandosi a gestire centinaia di domande per ottenere i diversi bonus e sussidi al reddito. Soltanto gli sportelli della Cgil di Bergamo alla data di giovedì 9 luglio hanno presentato 640 domande di reddito di emergenza, 353 domande per il bonus colf e fornito assistenza per la compilazione di 581 domande per il bonus di 600 euro destinato alle partite Iva.

Dal momento in cui è stato istituito a prima dell’emergenza Covid, circa 6.400 famiglie e 14.700 persone hanno ottenuto il reddito di cittadinanza. A questa platea, tra il 1 marzo e il 9 luglio 2020, si sono aggiunte ulteriori 320 famiglie. Per quanto riguarda l’assistenza ai figli minori sono state presentate tramite gli operatori del sindacato ben 881 domande di congedo parentale e 252 domande per il bonus babysitter/Cre.

Il dato sulla povertà ha seguito una dinamica crescente negli ultimi anni e si è diffuso anche in gruppi sociali tradizionalmente considerati al riparo dal rischio, assumendo caratteri di trasversalità e imprevedibilità. Una considerazione confermata anche dagli operatori dei servizi sociali locali e delle associazioni. Nelle valli e nei piccoli comuni le condizioni economiche e il tenore di vita sono inferiori a quelli che caratterizzano Bergamo e le altre aree urbanizzate. Qui, invece, è più pressante il tema della povertà degli anziani che interessa prevalentemente le donne e rappresenta, spesso, soltanto uno degli elementi di una vulnerabilità più complessa che investe anche la sfera della salute e quella delle relazioni.

Nelle aree urbane, infatti, si osserva una maggiore individualizzazione degli stili di vita che accresce la presenza di nuclei a rischio di disagio, come gli anziani soli o quelli monogenitoriali, i quali spesso non dispongono degli ammortizzatori naturali garantiti dal tessuto sociale più coeso delle zone rurali. Secondo i dati forniti dalla Cgil, a Bergamo nel 2020 i nuclei familiari composti da una sola persona rappresentano il 46 per cento del totale (nel 2008 erano il 42,7 per cento); le famiglie monogenitoriali nel 2017 pesavano per il 13,6 per cento (nel 2008 per l’11,9 per cento); infine, le famiglie di anziani soli nel 2019 pesavano per il 17,3 per cento (nel 2008 per il 16,4 per cento).

La crescita della povertà è spiegata, in gran parte, dall’aumento dell’incidenza del disagio nelle persone in età da lavoro. Inoltre, il lavoro in molti casi ha perso la sua funzione di assicurazione contro il rischio di impoverimento. Il tema del lavoro povero, soprattutto per le donne e per i giovani, assume particolare rilevanza nella nostra provincia dove il livello delle retribuzioni era già basso e il 10 per cento dei lavoratori dipendenti del settore privato aveva un salario che non superava gli 8 euro e mezzo lordi all’ora prima dell’emergenza Covid.

«La capacità dei servizi di intercettare e gestire efficacemente il disagio sociale è attualmente minata dalla carenza di risorse e da modalità di programmazione poco innovative, che richiederebbero di essere riformate – sottolinea il segretario generale di Cgil Bergamo Gianni Peracchi -. Soprattutto nella direzione di una maggiore cooperazione tra istituzioni e rappresentanze sociali, di un superamento della logica di intervento per grandi categorie che ostacola la presa in carico integrata di un disagio che è spesso multidimensionale. Presa in carico che dovrebbe essere finalizzata, almeno nella maggior parte dei casi, a mettere in condizioni i “vecchi e i nuovi poveri” ad inserirsi nel mondo del lavoro per potersi autodeterminare».

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