Una vicenda dolorosa

L'amara richiesta del belga Frank

L'amara richiesta del belga Frank
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Corre su sottili confini tra diritto ed etica la storia di Frank Van Den Bleeken, detenuto belga in carcere dagli anni Ottanta che ha chiesto e ottenuto l’eutanasia per mettere fine alla sua condanna. L’uomo, che è finito dietro le sbarre per l’omicidio di una donna e per diversi stupri, ha chiesto di poter mettere fine alle sue «terribili e insopportabili sofferenze psicologiche», ricevendo, pochi giorni fa, il via libera dal Ministero di Giustizia a procedere con la “dolce morte”. Una storia dalle molteplici implicazioni e che fissa un precedente non da poco: secondo il giornale De Standaard ci sarebbero già altri 15 detenuti che avrebbero avanzato la medesima richiesta all’ULTeam, equipe medica dell’Università di Gand specializzata in assistenza psicologica ed eutanasia.

Ma dietro all’impatto del caso sulla società belga, rimane la storia dolorosa di quest’uomo, stupratore seriale in carcere da 30 anni, mai uscito se non per potersi recare al funerale della madre tempo fa. Frank ha avuto un’infanzia difficilissima, trascorsa in un istituto per malattie mentali dove subì diverse violenze. E una volta finito in carcere non aveva neanche mai chiesto di poter essere rimesso in libertà poiché si considerava un pericolo per la società. Ciò che invece aveva chiesto, ben 3 anni fa, era appunto di ricorrere all’eutanasia, farla finita nella maniera meno dolorosa possibile: «Io non sarò mai libero, la mia esistenza non ha senso. Sono un pericolo per la società: fossi fuori da queste mura, lo farei di nuovo». Ha tentato anche diverse volte il suicidio, ma la stretta sorveglianza posta su di lui dalle autorità ha impedito che ciò avvenisse.

Le precedenti richieste di procedere con l’eutanasia si erano arenate a causa dei no della commissione federale, che invitava prima di tutto a procedere attraverso tutte le terapie disponibili. Ma in Belgio, lamentava l’uomo, non ci sono carceri adatte ai suoi disagi. Così le opzioni erano due: o mandare l’uomo in Olanda, dove invece vi sono case circondariali in grado di offrire terapie per lui, oppure procedere con l’eutanasia a Bruxelles, ipotesi cui la stessa Corte d’Appello locale ha dato seguito bloccando il trasferimento in Olanda. In questa maniera si è arrivati praticamente ad un accordo dal Ministero di Giustizia e i legali dell’uomo: «Il mio cliente verrà trasferito in un ospedale per 48 ore dove prenderà commiato dei suoi cari e poi morirà in modo dignitoso», ha spiegato l’avvocato, senza però precisare in quale struttura verrà spostato Van De Bleeken.

L’impressione confermata da tanti esperti è che i detenuti interessati all’eutanasia potrebbero crescere dopo questo caso. Ma, come spiega ancora De Standaard, non a tutti verrà concessa la “dolce morte”: tre psichiatri infatti dovranno valutare le condizioni di chi fa richiesta, oltre a dover trovare poi un medico disponibile per procedere con le pratiche. La perplessità è che però tanti carcerati intraprendano questa strada per abbandonare la dura realtà delle carceri. Dando sempre più corpo ad un parallelismo che raggela il sangue: casi come quello di Van De Bleeken sarebbero stati risolti, anni fa, con la pena di morte, abolita dalla Costituzione belga nel 1996 (anche se in realtà in disuso da più di un secolo). La sola differenza, nella vicenda dello stupratore seriale, è che in più c’è il suo consenso.

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