Omicidio di Seriate, in aula le intercettazioni di Tizzani. Figlio e nuora accusati di falsa testimonianza
Paolo Tizzani e la moglie Elena Foresti hanno fornito una serie di dichiarazioni contraddittorie. Interpellati sui presunti maltrattamenti di Antonio nei confronti della moglie Gianna e sui rapporti che c’erano tra la coppia, i coniugi hanno ritrattato o negato ciò che invece avevano detto agli inquirenti
Fermato a causa del Covid, il processo che vede imputato Antonio Tizzani, accusato dell’omicidio della moglie Gianna Del Gaudio avvenuto nella notte tra il 26 e 27 agosto del 2016, è ripreso riservando colpi di scena. Protagoniste in aula oggi, mercoledì 21 ottobre, alcune frasi che l’imputato ha pronunciato mentre era alla guida della sua Fiat Bravo nei mesi successivi al delitto. Ne ha parlato ai giudici un maresciallo dei carabinieri, che ha seguito le intercettazioni telefoniche e ambientali durante lo svolgimento delle indagini. Le cimici messe nel veicolo del ferroviere in pensione avrebbero captato nel febbraio del 2017 le frasi «ho ucciso un angelo» e «ho ammazzato mia moglie».
Stamattina sono stati chiamati a testimoniare in Corte d’Assise anche il figlio Paolo Tizzani e sua moglie Elena Foresti, i quali però hanno fornito una serie di dichiarazioni contraddittorie rispetto a quanto riferito alle forze dell’ordine durante lo svolgimento delle indagini. Per questa ragione rischiano di essere accusati di falsa testimonianza. Il pm Laura Cocucci ha infatti chiesto alla Corte la trasmissione degli atti alla Procura per falsa testimonianza. Nel corso della deposizione odierna, interpellati in merito ai presunti maltrattamenti compiuti da Antonio nei confronti della vittima e sui rapporti che c’erano tra la coppia, i coniugi hanno ritrattato o negato ciò che invece avevano detto agli inquirenti e messo a verbale nei mesi immediatamente successivi all’omicidio. Elena Foresti ha anche ammesso di aver ingigantito il racconto di alcune liti e aggressioni fisiche commesse dal suocero ai danni della professoressa in pensione e che lo avrebbe fatto perché si sarebbe sentita come messa alle strette dagli investigatori.
Ieri, invece, è stata la volta dell’altro figlio, Mario Tizzani, e della sua compagna Alessandra Manenti, ai quali è stato chiesto di spiegare le ragioni per cui Antonio Tizzani, al termine di una discussione avvenuta a novembre del 2016, parlando del delitto avrebbe detto al figlio Mario: «Sono stato io! Ma prima bisogna dimostrare i tempi». Una dichiarazione estrapolata da un’intercettazione avvenuta tra Manenti e sua madre. Per la coppia quella frase non sarebbe una confessione, bensì sarebbe stata pronunciata dal ferroviere per esasperazione, nel tentativo di porre fine alle domande del figlio Mario che gli chiedeva dettagli sulla sera dell’omicidio. Tanto che la compagna di Mario ha detto che se avesse percepito la dichiarazione come veritiera sarebbe andata lei stessa a denunciare il fatto ai carabinieri. Antonio Tizzani, al contrario, con quelle parole avrebbe voluto far intendere che da solo, in circa 20 minuti, non sarebbe stato in grado di disfarsi dell’arma del delitto e chiamare il 118 senza sporcarsi di sangue e senza che nessuno lo notasse. Martedì 27 ottobre sarà chiamato a testimoniare l’imputato.