I due erano «amici da spiaggia»

Strage di Capaci, le mezze risposte del testimone bergamasco Carrara

Strage di Capaci, le mezze risposte del testimone bergamasco Carrara
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Un bergamasco è stato chiamato a testimoniare nel processo bis sulla strage di Capaci in corso a Caltanissetta. Giovanni Carrara, sessantenne residente in città, è stato torchiato per più di un'ora dal pm Onelio Dodero: un faccia a faccia a tratti molto teso, durante il quale il bergamasco è stato richiamato e ammonito più volte per le sue amnesie e per le discordanze con quanto già dichiarato quattro anni fa agli uomini della Dia. Carrara è stato convocato martedì in tribunale per rispondere a una serie di domande su Giovanni Aiello, un ex poliziotto noto come “faccia di mostro” che, secondo l'accusa, avrebbe avuto un ruolo nell'attentato che costò la vita al giudice Giovanni Falcone, a sua moglie e agli agenti della scorta.

«Amico da spiaggia». Carrara si presenta subito in modo inusuale. Davanti alla Corte d'assise spiega di non esser mai stato in un'aula di giustizia e di essere perciò «emotivamente piuttosto fragile». Dopo aver esordito con un «Se poi mi arrestate non lo so», si augura di non «dover più partire da Bergamo per fare il cittadino modello». Il pm lo rassicura così: «Stia tranquillo, fa più male dal dentista». Il teste ridacchia, poi spiega come ha conosciuto Aiello. «Ho una casa a Montauro, in Calabria. Aiello l'ho conosciuto lì, sette o otto anni fa. È un pescatore, vive in una baracca sul mare. Ogni tanto sono andato a pesca con lui e mi sono fermato a mangiare. Lo conosco bene, cioè bene... È un'amicizia da spiaggia. Dei suoi racconti non me ne frega nulla». Perché, spiega Carrara, «Aiello è molto bravo a raccontare». Salvo precisare, pochi minuti dopo, che «in realtà parla molto poco, sono io il logorroico». Qualcosa, comunque sia, Aiello gliel'ha confidata. «Mi disse che restò ferito in un conflitto a fuoco in Sardegna, che lo credevano morto. Poi non so altro, se non che una volta partì da Padova per andare a manganellare degli studenti o dei lavoratori a Milano».

 

Capaci

 

La torta di Palermo. Quando il pm gli chiede se Aiello gli avesse raccontato altro sulla sua carriera in polizia, Carrara dice no: «So che aveva girato l'Italia. È stato a Venezia, gli piaceva andare all'Harry's bar. Poi a Palermo. Mi ricordo che gli avevo chiesto di una torta, in quale pasticceria la facevano». Palermo non è un posto a caso. Perché se ne parla in un articolo dell'Espresso del maggio 2010, in cui compare per la prima volta l'ipotesi del coinvolgimento di un poliziotto sfregiato nel mistero di Capaci. È proprio questo articolo a risucchiare Carrara nella vicenda. La Dia intercetta una sua chiamata con Aiello, in cui l'ex poliziotto lo invita a comprare il settimanale perché, gli spiega, si parla di lui. E qui la testimonianza di Carrara diverge da quanto dichiarato davanti ai superpoliziotti antimafia il 28 febbraio 2011. Ai giudici, il teste spiega di aver sfogliato due volte il settimanale prima di capire a quale articolo si riferisse l'amico. «Perché non ricordo nemmeno che ci fosse scritto di uno sfregiato». E aggiunge che comunque poi i due non ne avevano più parlato quando si erano rivisti in seguito. Dal verbale, contestato dal pm, risulta invece che Carrara nel 2011 disse di esser tornato sull'argomento in un incontro successivo: «Avevo capito che vi erano stati sviluppi nella vicenda e che gli inquirenti credevano che “faccia di mostro” fosse lui...». Ma il bergamasco cade dalle nuvole: «No, queste cose non le ho mai dette». E di fronte all'insistenza di Dodero, ipotizza: «Mi viene il dubbio che sia il verbale di qualcun altro...». Il pm non gradisce e gli intima: «Vede, c'è un problema, qui siamo persone serie. Non ci prenda in giro e risponda».

 

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Tutto chiaro, anzi no. Ogni tanto Carrara ritrova la memoria, e precisa che Aiello gli aveva sì detto (come a verbale) «Non c'entro nulla con quanto scritto nell'articolo», però solo dopo la chiamata della Dia, quando Carrara si era “incazzato” per essere stato coinvolto. Tra esclamazioni scurrili (più volte censurati dalla Corte) e «non ricordo», Carrara continua a minimizzare: «Pensavo a una sbruffonata, come tante altre. Poi queste cose non mi toccano, sono di una dimensione che non mi appartiene. Credo che ora sia tutto chiaro». Ma il pm lo gela. «Non per noi». Allora Carrara ammette: «Beh, quando la Dia mi ha chiamato ho capito che c'entrava questa storia...». Il giudice lo incalza: «Come lo ha capito, scusi?». Dopo un silenzio imbarazzato, il teste riavvolge il nastro e lo ingarbuglia nuovamente: «Eh, mi sarà tornato in mente l'articolo...». L'ultima domanda è diretta: «Ha mai ricevuto minacce?». Risposta: «No, minacce no». Dopo alcune domande delle parti civili, Carrara viene congedato. Prima però fa in tempo a dire: «A Montauro ci passo quattro mesi all'anno, da maggio a settembre. Ma spero che la prossima sia l'ultima volta che ci vado: stiamo cercando di vendere la casa». Addio Calabria, addio Aiello.

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