«Vive per l'Atalanta»

È tempo di liberare il Bocia Ora ha pagato abbastanza

È tempo di liberare il Bocia Ora ha pagato abbastanza
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«Siamo tutti con Claudio» recitano decine di striscioni apparsi in tutta la Bergamasca. Tutti meno la Questura di Bergamo che con Claudio Galimberti, detto il Bocia, leader carismatico della Curva Nord, ha un conto che non intende chiudere. Quarantacinque anni, cresciuto a due passi dallo stadio di Bergamo, Galimberti è una sorta di Braveheart della tifoseria nerazzurra. L’Atalanta per lui è una fede, poterla seguire l’unica libertà che gli interessa. Ma da ventidue anni questa possibilità gli è negata perché, dopo essersi reso protagonista di episodi di violenza e intemperanze più o meno gravi, pur essendosi assunto tutte le sue responsabilità, è stato colpito da ripetuti daspo, provvedimenti che gli vietano l’accesso alle manifestazioni sportive. L’ultimo è di qualche giorno fa: sembra un accanimento, quasi che qualcuno in Questura abbia giurato di non fargli mai più vedere una partita dell’Atalanta. Il penultimo daspo, di cinque anni, sarebbe scaduto nel 2020. Ma due settimane fa, all’indomani di una sentenza favorevole al Bocia pronunciata dal Tribunale, paradossalmente, la Questura ha chiesto il prolungamento della misura per altri due anni, oltre all’obbligo di firma mezz’ora prima e mezz’ora dopo le partite. Il giudice ha avallato la richiesta. Da quel momento è partito il tam tam “per Claudio”. Andrea Pezzotta da quindici anni è l’avvocato difensore del Bocia.

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Avvocato, che idea si è fatto di questa vicenda?
«Che sarebbe ora di trovare una soluzione».

Chi la osteggia?
«Secondo me la Questura dovrebbe calibrare meglio questi provvedimenti».

Cioè?
«Se metto la macchina in divieto di sosta è giusto che mi diano la multa, ma non è giusto che mi ritirino la patente. Se invece passo col rosso, è corretto che io non possa più guidare per un certo periodo. Un provvedimento severo di fronte a un comportamento lieve genera reazioni scomposte».

Sta dicendo che il Bocia non è transitato col rosso?
«In passato sì, ma da tempo il suo comportamento è migliorato, ed è questo che dovrebbe contare. Il tribunale ha seguito questo percorso e infatti l’accusa più grave, quella di associazione per delinquere, è caduta; la sorveglianza speciale gli è stata revocata in anticipo perché si è sempre comportato bene».

Ma?
«Ma mentre col Tribunale si riesce a ragionare, la Questura tiene la saracinesca è abbassata».

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Gli ultrà parlano di “ripicca dopo l’assoluzione per il caso porchetta”.
«Una ripicca non avrebbe senso. Secondo me da parte della questura c’è una valutazione non corretta della gravità di alcuni episodi».

In effetti, siamo all’assurdo che il tribunale assolve Galimberti per “irrilevanza del fatto” e per lo stesso fatto irrilevante la Questura gli prolunga la pena.
«Effettivamente è così. C’è una divaricazione fra la risposta d e l l’autorità giudiziaria e la risposta della Questura».

Una divaricazione clamorosa.
«Sì, clamorosa. Ci sono stati momenti oggettivamente molto preoccupanti e allora era corretto usare il pugno di ferro. Oggi lo stadio e gli ultrà non sono più lo spauracchio di un tempo».

Ricostruiamo il “caso porchetta”.
« All’ultima partita di campionato nell’aprile del 2015 i tifosi, per festeggiare, hanno organizzato una grigliata fuori...»

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 4 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 19 luglio. In versione digitale, qui.

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