L'inaugurazione dell'Anno Accademico

L'Università passa il testimone tra latino, decrescita e finger food

L'Università passa il testimone tra latino, decrescita e finger food
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La Bergamo che conta è salita in massa a Sant'Agostino per due inaugurazioni al prezzo di una: anno accademico e restyling dello storico complesso. Politici e politicanti, sindaci ed ex sindaci, assessori, onorevoli, avvocati, magistrati, comandanti, presidenti, direttori, persino imprenditori caduti in disgrazia. Nessuno, ma proprio nessuno, ha voluto mancare l'appuntamento cultural-mondano di fine estate.

La sfilata degli ermellini. La spettacolare aula magna ricavata nell'ex chiesa di Sant'Agostino si trasforma di colpo in salotto buono, con una sfilza di strette di mano, sorrisoni, pacche sulle spalle. Poi, con un ritardo che sfora largamente il quarto d'ora accademico, la cerimonia finalmente si  apre. Il coro "Antiche armonie" fa da colonna sonora alla sfilata dei rettori di mezza Italia, con gli ermellini d'ordinanza sulle spalle. Spettacolo un po' démodé, ma pur sempre suggestivo. Tutti in piedi per l'inno di Mameli, poi prende la parola per primo il vecchio inquilino di Palazzo Frizzoni, Franco Tentorio: «Ricordo la sottoscrizione dell'impegno al restauro. Avevo capito che era un momento importante. Bello vedere il risultato». Poi sul maxischermo appare Giorgio Gori: «Noi abbiamo raccolto il testimone e abbiamo portato a termine i lavori nei tempi previsti. Sant'Agostino è al centro dei destini della città. L'investimento sul capitale umano è un obiettivo primario per l'amministrazione». La rappresentante degli studenti Marta Rodeschini stropiccia per un attimo l'atmosfera fin troppo patinata, ricordando che l'università è fatta soprattutto da chi fatica sui libri, sacrificando l'oggi per costruirsi il domani: «Molti lavorano il sabato sera per pagarsi gli studi». Ed ancora, rispondendo a chi dice che i giovani temono di assumersi responsabilità: «Noi studenti universitari non abbiamo paura. Di investire, di costruire, di pensare a qualcosa di migliore, di nuovo, di diverso. Vogliamo sporcarci le mani e arricchirci di saperi, studiare non solo per noi ma anche per restituirlo a tutti».

 

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Il saluto di Paleari. L'ex rettore Stefano Paleari si congeda così: «Saluto affettuosamente il nuovo rettore (Remo Morzenti Pellegrini) e lo ringrazio fin d'ora perché il governo della cosa pubblica oggi è atto di coraggio ed umiltà. In questi anni abbiamo toccato temi importanti, come la crescita e la sostenibilità. Oggi il nostro Paese affronta due questioni: l'elevato debito pubblico e la decrescita demografica. Si rischia di scendere da 60 a 40 milioni di abitanti. Questo ci dovrà indurre a cercare forti modelli di produttività e a integrare la popolazione con i migranti». Il rettore uscente propone un'analisi approfondita del sistema Paese, evidenziandone i limiti che sarà necessario superare per costruire un futuro migliore e più giusto. Paleari calamita l'attenzione della platea, anche se con lo scorrere dei minuti qualcuno non regge la maratona di parole e finisce con il distrarsi, tra due chiacchiere con il vicino di sedia e una sbirciata allo smartphone. L'ormai ex Magnifico sembra quasi percepirlo quando calca sulla frase: «Oggi si confonde la competizione con uno spettacolo di gladiatori. E il pollice verso dell'Imperatore è sostituito da quello del popolo della Rete. Ma la buona competizione è solo quella che migliora».

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Dal latino al finger food. Intermezzo musicale, quindi tocca all'ospite d'onore Ivano Dionigi, rettore dell'Università di Bologna, dissertare su "Res publica: una vocazione di pochi o un dovere di tutti?". Un dubbio di spessore amletico, che richiede una risposta lunga e articolata: «La Res publica coincide con la Res populi - è l'incipit -. La voglia di stare insieme, dice Cicerone, deriva dall'istinto sociale dell'uomo. La socialità appartiene solo a Dio, o alla bestia». Scivolando sulla politica (con la P maiuscola), Dionigi regala colpi d'ali: «Il leader è tale perché ha il senso del destino. E il fondamento del governo della civitas risiede nella virtus». E chi ha orecchie da intendere intenda. La lectio magistralis si esaurisce in un'ora scarsa. Maestosa, però decisamente impegnativa. Scorrono infine i titoli di coda. E scocca l'ora del buffet nel chiostro. Il latino fa spazio a prosecco e finger food.

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