L’Italia e l'imminente guerra in Libia
Dopo settimane di apparente silenzio, l’Isis torna a minacciare l’Italia. Alla fine della scorsa settimana, il Califfato ha diffuso attraverso i propri oramai famigerati canali web un nuovo video, in cui minaccia l’Apocalisse (in arabo Dabiq, ovvero il luogo della fine del mondo) nel cuore del cattolicesimo, ovvero a Roma. Nel filmato di appena una manciata di secondi, come sempre di pregevole fattura, si vedono i guerriglieri in nero alla conquista del Colosseo. Le immagini mostrano poi Piazza San Pietro e l’altare della Patria, mentre una voce in sottofondo annuncia «che l’armata del Dabiq entrerà a Roma, distruggerà i crocifissi e metterà in catene le donne cristiane». Parallelamente sui social sono state diffuse anche delle “locandine”: la prima ritrae un combattente armato, davanti al mare, che guarda il Colosseo sullo sfondo, sul quale sventola il vessillo del Califfo. Una scritta recita: «Dalla Libia sta arrivando a Roma». Nella seconda, invece, è disegnato il gasdotto Greenstream che da Wafa, in Libia, arriva a Gela, in Sicilia. Si tratta di una delle principali linee di rifornimento energetico dell'Italia.
Insomma, pare proprio che l’Isis ci tenga particolarmente a far sapere che oramai sono a un centinaio di chilometri da noi, in Libia. Non è un caso che proprio la scorsa settimana si sia diffusa la notizia (non confermata) della presenza a Sirte, città natale dell'ex dittatore Muammar Gheddafi, di Abu Abr al-Baghdadi, lì rifugiatosi dopo esser stato in cura in Turchia. Sirte è la roccaforte dell’Isis in Libia, ma gli uomini del Califfo pare che abbiano preso possesso anche della cittadina di Sabratah, comparendo improvvisamente in una zona in cui ancora si erano visti poco e teoricamente sotto il controllo dei guerriglieri di Alba Libica, la milizia islamista non estremista che combatte l’Isis. La notizia ha preoccupato non poco la Farnesina: Sabratah è pericolosamente vicina ad Az Zawiyah, città fondamentale per gli interessi energetici dell’ENI in Libia.
Smarcarsi dagli Usa. Alla luce di queste notizie, stupiscono un po’ meno le recenti mosse di diplomatiche del nostro Paese, che non solo ha deciso (con una presa di posizione inusuale rispetto al passato) di non prendere parte ai bombardamenti anglo-americani tra Iraq e Siria, ma si è anche schierato contro la proroga della sanzioni occidentali alla Russia direttamente con le parole del premier. Per la prima volta da tempo, quindi, l’Italia pare aver deliberatamente scelto di non seguire le direttive di politica estera imposte (o, se si vuole essere più soft, suggerite) dagli Usa e di aver deciso di guardare un po’ di più ai propri interessi. Che, guarda caso, si rivolgono proprio alla Libia, dove indiscrezioni raccontano della presenza non ufficiale di forze speciali italiane. Il motivo? Tenere sott’occhio la situazione di un Paese dove la tensione è ai massimi livelli da tempo. Il 16 dicembre, dopo lunghissime trattative, i due parlamenti rivali di Tobruk e Tripoli pare firmeranno un’intesa per un governo di unità nazionale, ma è difficile prevedere se durerà. Gli interessi in gioco sono molto diversi, come sottolinea Giuseppe Cirillo su Rischio Calcolato: il governo laico di Tobruk è supportato da Egitto ed Emirati, quello islamista di Tripoli dal Qatar e dalla Turchia. Solo questo segna una differenza difficilmente colmabile da una firma.
[Fazioni in Libia, tratta da Hescaton]
I possibili scenari in Libia. Seguendo sempre il ragionamento di Rischio Calcolato, gli scenari possibili per la Libia, a questo punto, sono diversi. Il più probabile è che le milizie islamiste che supportano il governo di Tripoli non riconoscano l’accordo con il parlamento di Tobruk e decidano di unirsi all’Isis. Se ciò accadesse l’intera area attorno a Tripoli diventerebbe teatro di scontri durissimi e l’Italia sarebbe costretta a scendere in guerra. Altrettanto probabile è un eventuale intervento congiunto di diverse forze guidate da quelle italiane nel caso in cui la situazione precipitasse e l’Isis avanzasse in diverse zone strategiche per gli interessi energetici dell’Occidente. L’ipotesi non è affatto peregrina: pochi giorni fa il ministro degli Esteri russo Lavrov ha sostenuto il pieno supporto della Russia a un intervento militare italiano in Libia. Lo scenario al momento considerato meno probabile, invece, è quello secondo il quale il governo di unità nazionale riesca a nascere e resistere alle opposizioni, scatenando così una vera e propria guerra interna per la distruzione dell’Isis. Il problema di tutti questi scenari ipotetici è uno: tutti spingerebbero l’Italia all’entrata in guerra sul territorio libico, in qualche modo.
L'Italia è pronta a una guerra? Il Governo è consapevole di questa situazione e sta facendo di tutto, sia in termini di politica estera che in termini di gestione delle forze militari, per evitare lo scontro ma, eventualmente, farsi trovare pronto. Le postazioni ENI in Libia sono troppo importanti per lasciarle alla mercé di eventuali attentati dell’Isis. Ma l’Italia è pronta alla guerra? La risposta è no, secondo molti analisti. In primis perché il nostro Paese è ancora in una forte fase di depressione economica che non ci permette di affrontare una guerra che potrebbe costare miliardi di euro, soprattutto se l’Unione Europea non allenta le regole sul pareggio di bilancio. Ma i motivi sono anche di ordine etico: l’opinione pubblica nostrana, infatti, non accetterebbe mai un’entrata in guerra ufficiale, che potrebbe costare la vita (come ogni guerra del resto) a decine di nostri soldati. Cirillo sottolinea infine come la Libia abbia subito per decenni una propaganda anti-italiana e un nostro intervento militare a Tripoli e dintorni potrebbe essere visto dalla maggioranza della popolazione come un atto di neo-colonialismo, sentimento che favorirebbe l’alleanza delle forze ribelli in contrasto all’esercito italiano.