Meglio il pane bianco o integrale? Ecco cosa dicono gli scienziati

C’è chi lo preferisce integrale e chi bianco, chi sostiene che il primo sia più salutare del secondo. Parliamo di pane, naturalmente, e fra loro chi avrà ragione? Potenzialmente nessuno, perché un recente studio dell’Istituto Weizmann, in Israele, sosterrebbe che la bontà di un cibo, e quindi anche la sua risposta dietetica, ovvero di bontà in termini di salute e non esclusivamente di peso, sarebbe individuale. Dipenderebbe cioè dalla composizione del microbioma, la flora batterica intestinale nella sua totalità, che è variabile da persona a persona. Lo studio apparso sulle pagine di Cell Metabolism potrebbe così rivoluzionare il concetto di dieta la quale non sarà più univoca, unisex e uni-peso, ma dovrà modificarsi in funzione dell’accettazione che il microbioma intestinale di ogni organismo ha di uno specifico alimento e/o dell’associazione di più cibi.
Lo studio. È ancora su numeri troppo piccoli per trarre conclusioni definitive, tuttavia ha aperto la strada per altre ricerche intriganti. Che potrebbero cambiare radicalmente il concetto di dieta, non solo in termini nutrizionali, ma anche di controllo e mantenimento del peso laddove necessario. Ovvero in futuro la dieta potrebbe essere personalizzata a seconda di una precisa e specifica risposta organica: quella del microbioma intestinale. A questa conclusione, primaria e ancora molto preliminare, sarebbe giunto un gruppo di ricercatori israeliani dopo aver posto sotto esame una ventina di partecipanti, tutti in buona salute, invitati a consumare una dose quotidiana di pane di diverse tipologie. Alimento che nessuno rifiuta, perché è goloso, buono in termini nutrizionali e incluso nella dieta di tutti i popoli.
Ecco che allora i partecipanti sono stati suddivisi in due metà: l’una destinata a mangiare dapprima pane bianco e l’altra integrale, di granturco intero più specificatamente, appositamente panificato e consegnato fresco ai partecipanti tutti i giorni, via via in quantità crescenti. Infatti, all’inizio dello studio l’apporto calorico quotidiano derivante dal pane era pari al 10 per cento delle calorie totali fino a raggiungere gradualmente il 25 per cento del totale calorico nell’arco di 7 giorni.
Poi per le due settimane successive c’è stato uno stop: niente più pane a tutti i consumatori, mentre per finire il progetto sperimentale prevedeva quello che gli esperti chiamano un cross-over, un cambio di marcia, dove al gruppo bianco è stato assegnato pane integrale e viceversa. Poiché lo scopo della ricerca era studiare gli effetti del pane su una serie di dati anche clinici, a ciascuno dei mangiatori di companatico sono stati misurati in diversi momenti dello studio la glicemia nel sangue al risveglio, la calcemia, la sideremia, i livelli di magnesio, colesterolo e altri lipidi, la funzionalità epatica e renale, una serie di parametri sull’eventuale stato infiammatorio o di danno tessutale. Non ultimo, è stata inoltre valutata la composizione del microbioma dei partecipanti, prima, durante e dopo lo studio: quest’ultimo rivelatasi elemento chiave.
Il microbioma. Più facilmente detto flora intestinale: tutto ruota attorno a questo fattore x, a tal punto che in maniera del tutto disattesa i ricercatori, esaminando ad uno ad uno i differenti parametri, si sono accorti che essi non si differenziavano in maniera così significativa fra consumatori di pane bianco e pane integrale. Solo osservando più a fondo hanno potuto notare che metà dei partecipanti mostrava una risposta glicemica migliore al pane bianco e metà a quello integrale: il tutto dipendente dalla composizione della flora intestinale che reagisce individualmente e in maniera del tutto personale all’impatto con i singoli cibi. Come a dire che uno stesso alimento, potenzialmente buono, lo può essere per un individuo e per un altro affatto o meno, a seconda di un quid intestinale. Una rivoluzione, dicono gli esperti israeliani, rispetto a studi precedenti che avevano invece evidenziato una varietà di risposte glicemiche ad una dieta unica.
Questo, dunque, indicherebbe che non sarà più consigliabile utilizzare una dieta standard, uguale per tutti, per correggere un problema nutrizionale o di peso: pena, il fallimento dell’obiettivo per cui la dieta è stata proposta. Obiettivo che invece potrebbe essere raggiunto con la creazione di una dieta ad hoc che tenga conto proprio delle caratteristiche biologiche del microbioma stesso e dell’impatto che uno specifico cibo induce su di esso. Come risolvere allora il problema? I ricercatori hanno creato un particolare algoritmo in grado di valutare come il singolo individuo può accettare, organicamente parlando, il pane in questo caso, ma il concetto potrebbe essere valido e applicabile a qualsiasi altro cibo, all’interno di un regime dietetico.
In conclusione. Stante il fatto che il naturale microbioma dei partecipanti non si è modificato lungo tutto lo studio e nemmeno durante il cambio di dieta, i ricercatori attraverso quel preciso algoritmo sarebbero riusciti a dimostrare che la chiave della risposta glicemica osservata fra i differenti mangiatori di pane, con una variabilità del tutto personale, sta proprio nella composizione del microbioma. Insomma la mancanza di evidenti differenze fenotipiche, in funzione al diverso tipo di pane consumato, indurrebbe esiste una sorta di effetto persona-specifico. Come a dire che la risposta glicemica superiore o inferiore, associata al consumo di pane, deve essere studiata dapprima in funzione delle caratteristiche del microbioma intestinale, prima dell’impostazione di qualsiasi dieta o altra terapia, ipotizzando così un margine di successo migliore e limitando le possibilità di cadere nei cosiddetti effetti yo-yo.