«Metalpope», le parole del Papa agli operai dell'Ilva di Genova
“Metalpope”. Era questo il titolo di apertura del Manifesto di ieri. Il “quotidiano comunista” ha voluto dedicare la sua prima pagina, con tanto di grande foto degli operai che applaudono quasi commossi, alla visita di papa Francesco a Genova.
All'Ilva. Riassumiamo i fatti. Mentre i grandi erano riuniti per il G7 di Taormina, Bergoglio aveva in agenda un viaggio nel suo stile: rapido, unilaterale, intenso. La meta era Genova, città dal grande passato industriale, ora schiacciata sia dalla crisi che dal declino demografico. Nel suo programma papa Francesco aveva inserito una tappa tra i capannoni dell’Ilva di Genova, per la precisione al Capannone 11, quello dove tanti anni fa si movimentavano i rotoli di cavi d'acciaio. Una tappa importante, perché in quel contesto molto spartano, dominato dalle gigantesche architetture produttive, Bergoglio ha pronunciato uno di quei discorsi destinati a lasciare un segno profondo. Un discorso assolutamente contromano; quasi un’agenda di tutte quelle emergenze di cui i grandi ormai non si occupano più.
Il discorso sul lavoro. L’appuntamento è il primo della giornata. Alle 8.30 Francesco è già lì, ad ascoltare le parole di saluto del cardinal Bagnasco, presidente uscente della Cei. È lui a mettere sul tavolo il tema che il papa avrebbe affrontato nel suo discorso. «La situazione del lavoro è seria e grave: continua a colpire i giovani impediti di fare un progetto di vita, e gli adulti che hanno famiglia e impegni da onorare», ha detto l’arcivescovo di Genova. Quando ha preso la parola, Francesco ha guardato quella platea di 3500 operai assiepati nel capannone con i loro caschi gialli e azzurri.
Quello che ha impressionato subito tutti è la concretezza delle sue parole: Francesco non è venuto a fare una bella predica che alla fine non divide nessuno. Francesco è venuto dimostrando di conoscere bene i meccanismi e di sapere come stanno funzionando le cose in Italia. Inizia facendo l’elogio del buon imprenditore, perché senza imprenditori non c’è lavoro. «Non c’è buona economia se non ci sono buoni imprenditori che hanno responsabilità per le persone e per l’ambiente». Ma il papa sa che essere buoni imprenditori in Italia è difficile. Di qui un rimprovero pesante alla politica. «Qualche volta il sistema politico sembra incoraggiare chi specula sul lavoro e non chi investe e crede nel lavoro. Perché? Perché crea burocrazia e controlli partendo dall’ipotesi che gli attori dell’economia siano speculatori, e così chi non lo è, è svantaggiato, chi invece lo è, trova i mezzi per eludere i controlli».
Il Papa sa anche che Genova è la città di Grillo e sa che i 5stelle hanno lanciato la proposta del reddito minimo per tutti. Lui spiega in modo molto lucido perché non è d’accordo: la preoccupazione è costruire una società in cui ci sia lavoro per tutti. Come dire: reddito senza lavoro è un’umiliazione e può avere delle ricadute sociali distruttive. «L'obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti. Perché senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti».
Bergoglio colpisce nel segno quando mette nel mirino la realtà di «un lavoro come ricatto»: in troppi casi le persone si trovano davanti al ricatto di dover accettare condizioni non dignitose, «perché dietro c’è la coda degli altri pretendenti a quel posto. Il lavoro che è esperienza di riscatto, oggi tante volte è diventato un ricatto».
L'operaio ateo si commuove. L’inviato della Stampa, Domenico Agasso, ha raccontato di aver seguito il discorso tra gli operai del servizio d’ordine della Cgil. Tra loro c’era una figura storica, di nome Vittorio, laico e anticlericale da sempre. Vittorio ha seguito il discorso impassibile. Alla fine, annota Agasso, «si toglie il caschetto, lo appoggia a terra, si prende la testa fra le mani. Si commuove. Niente lacrime, dirà alla fine. Ma non è convincente. Poi sentenzia: “Però 'sto Papa è davvero il Papa del popolo”».