L'ambiguo atteggiamento di Ankara

Migranti, le colpe dei turchi

Migranti, le colpe dei turchi
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L’esodo senza precedenti dei profughi dalla Siria ha determinato una situazione di totale destabilizzazione in Europa, specie tra i Paesi balcanici. Molti governi, tra cui quelli più giovani dell’Unione nati dopo il crollo del comunismo e dalla dissoluzione della ex Jugoslavia, hanno adottato una politica di chiusura, respingendo, arrestando e costruendo muri pur di non accogliere quanti transitavano sulla loro terra in cerca di un approdo sicuro. E in questa situazione sono in molti a addossare le colpe di questa diaspora alla Turchia, accusando la silenziosa complicità turca nell’addestramento dei terroristi che destabilizzano la Siria.

L’appello di mons. Audo. Mons. Antoine Audo è l’arcivescovo caldeo di Aleppo. È un gesuita, nato ad Aleppo, che ha studiato a Damasco, Parigi, Roma. Prima di essere chiamato a capo della sua diocesi, era in Iraq. Il religioso è un conoscitore del suo mondo, il Medio Oriente, come ce ne son pochi. Durante la conferenza organizzata da Aiuto alla Chiesa che soffre, intitolata “Cristiani di Siria: aiutateci a rimanere”, ha portato una drammatica testimonianza sulle condizioni di vita dei cristiani di Siria, e di Aleppo in particolare. Una città che prima della guerra contava 150mila cristiani oggi ridotti a un terzo, col rischio che facciano la fine dei loro fratelli iracheni di Mosul.

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Aiutateci a rimanere in Siria. La situazione ad Aleppo, una delle città più belle e fiorenti del Medio Oriente che conta oltre 2 milioni di abitanti, è tra le più gravi di tutta la Siria e da mesi ormai mancano acqua corrente ed elettricità. I cristiani, come la maggior parte dei siriani, scappa verso l’Europa lasciando il Paese in balia dei terroristi. Inoltre, coloro che scappano sono la parte migliore del popolo siriano, le persone più giovani e forti, coloro che potrebbero dare futuro e speranza alla Siria. Scappano anche per evitare l’arruolamento nell’esercito e il servizio militare. Audo si fa portavoce della sua gente e al mondo lancia un appello: «Aiutateci a rimanere in Siria».

Il clima ad Aleppo. L’arcivescovo descrive una città allo sbando, devastata da carestia e povertà, dove mancano le basi della sicurezza e l’80 percento delle persone non ha più un lavoro: «Anche la dignità delle persone è messa a dura prova» afferma Audo, che precisa come anche la classe media, «medici e ingegneri», faccia la fila alla Caritas per avere qualcosa da mangiare. Inoltre per la città is aggirano molti giovani armati, che imperversano e spargono terrore. L'arcivescovo spiega che oggi Aleppo è sostanzialmente divisa in due zone, controllate rispettivamente dall’esercito regolare fedele al Presidente Assad e dai terroristi. La città vecchia, in particolare, che ospita la Cittadella e il suq, sono in mano ai jihadisti, persone di difficile identificazione che, secondo l’arcivescovo, con tutta probabilità appartengono più al fronte al Nusra che non all’Isis.

 

 

La situazione prima della guerra. Una realtà impressionante, soprattutto se si confronta il presente della Siria con quanto accadeva prima della guerra. Un Paese dove la persecuzione religiosa tradizionalmente non è mai esistita e dove le diverse confessioni vivevano in pace tra loro, perché il pluralismo confessionale era una peculiarità della Nazione e le minoranze erano tutelate per legge. «Sotto Assad», afferma mons. Audo «i cristiani vivevano tranquillamente, questi gruppi estremisti hanno come missione il terrore per affermare la loro potenza».

Le accuse alla Turchia di Erdogan. L'arcivescovo caldeo nella sua testimonianza lancia precisa accuse. In primis alla Turchia, che secondo lui è tra i principali finanziatori dei miliziani dell’Isis. «Noi siamo a 40 chilometri dal confine e tutti sanno che la Turchia accoglie i gruppi armati, dà loro formazione, armi e aiuti. Anche Erdogan si presenta come fratello musulmano ma poi è al servizio dei potenti». E poi alla comunità internazionale, rea di non aver prestato sufficiente attenzione alla crisi siriana e aver permesso che la situazione degenerasse fino a questo punto.

 

 

Inoltre «a livello internazionale» accusa Audo «c'è determinazione a continuare la guerra. Come ha detto il Papa parecchie volte lo si deve al commercio di armi e agli interessi strategici». Oggi la gente in Siria non ha più fiducia nel futuro e per questo fugge per rifarsi una vita. «Come vescovo caldeo», continua il presule, «conosco l’esperienza degli immigrati cristiani che dall’Iraq sono arrivati in Siria. È un’esperienza di morte, è un’esperienza di fine della presenza cristiana. Quindi oggi faccio di tutto per far rimanere la gente qui, ma capisco chi fugge perché non vede davanti a sé altra scelta...».

 

 

La debolezza europea e il doppio gioco turco. Accanto alla testimonianza di un vescovo che ogni giorno lotta sul campo contro l’abbandono della terra da parte dei cristiani, merita una riflessione anche l’intervista che il settimanale Tempi ha realizzato a Gian Micalessin, giornalista ed esperto di questioni mediorientali. Una visione critica nei confronti di Erdogan, quella di Micalessin, che analizza come anche l’Europa abbia le sue precise responsabilità, avendo permesso ad Ankara di giocare con il problema profughi per risolvere una crisi politica interna. Le elezioni di giugno hanno segnato la perdita del Premier della maggioranza e la contemporanea affermazione del partito curdo. Pur di riconquistare consensi e riuscire ad affermarsi nelle prossime elezioni anticipate, il Presidente turco ha deciso di aprire le porte a molti campi profughi. «Ben 124mila persone dall’inizio del 2015 sono riuscite ad attraversare il confine, giungendo nelle isole greche di Kos, Samos, Chios, cioè il 750 per cento in più rispetto al 2014», spiega Micalessin. Un atteggiamento, quello della mancanza di contenimento di questo tsunami umano, che stride con l’atteggiamento di chiusura delle frontiere nei confronti dei curdi che invece tentavano di scappare da Kobane lo scorso anno. «Se fossimo stati forti, l’Unione Europea avrebbe dovuto dire “stop” a questa politica di Erdogan. Invece abbiamo lasciato fare, disinteressandocene, e adesso ne paghiamo le conseguenze».

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