I giorni della rabbia

Il mondo islamico contro l’Isis

Il mondo islamico contro l’Isis
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All’indomani della diffusione del video del pilota giordano arso vivo, si è alzata unanime la condanna del mondo. In particolare del mondo musulmano sunnita, cui l’Isis, almeno in teoria, appartiene. Lo sceicco Ahmed alTayeb, rettore dell’università egiziana di al-Azhar, considerata la massima voce teologico-accademica del mondo sunnita, ha dichiarato che gli assassini meritano di essere puniti sotto la legge islamica con «l’uccisione, la crocifissione o la rottura degli arti» e che bruciare le persone, amputare loro gli arti o praticare altri atti crudeli persino nei confronti dei prigionieri di guerra è espressamente vietato dal Corano. Una condanna dura, anche se meno violenta di quella di alAzhar arriva dall’Associazione internazionale degli studiosi musulmani, vicina alla Fratellanza Musulmana: lo Stato Islamico, secondo loro, non rappresenta l’islam in nessun modo.

Che cos’è alAzhar. Il fatto che l’ateneo egiziano abbia così duramente condannato gli assassini del pilota giordano non è da sottovalutare. AlAzhar non è una qualsiasi università, ma è il centro culturale e religioso più importante al mondo dell’islam sunnita, che nel mondo rappresenta l’80% dei musulmani. Nel 2009 fu ad alAzhar che il presidente americano Barak Obama pronunciò il suo discorso al mondo islamico che irrorò di speranze i cuori dei giovani mediorientali. Esiste dal decimo secolo come scuola coranica e solo nel 1961 diventa un’università a tutti gli effetti. AlAzhar si può definire, con le parole di Obama, il faro della cultura islamica. È da qui che sono usciti molti esponenti della leadership politica, militare e culturale del mondo islamico non solo egiziano. Tra loro anche molti esponenti considerati terroristi: fondatori e ispiratori di Hamas, dei guerriglieri bosniaci, oltre che animatori e combattenti delle fila della jihad nelle varie parti del mondo. Per questo alAzhar, oltre a essere fucina di cultura, talento e principi giuridici islamici, è considerata anche un potenziale ricettacolo di estremisti. Che il suo rettore abbia emesso una condanna così dura suona quindi abbastanza sorprendente.

 

EGITTO_-_fratelli_musulmani_e_al-azhar

 

Le altre condanne. Non è la prima volta che il mondo arabo insorge contro l’Isis. Già lo scorso settembre gli imam del Regno Unito emisero una fatwa contro gli jihadisti britannici dell'Isis definendoli eretici, proibendo loro di arruolarsi tra le fila del sedicente Stato Islamico e chiedendo di opporsi alla sua ideologia velenosa. Anche il Consiglio Islamico Siriano emise una fatwa, sottoscritta anche dall’Unione dei Sapienti della Siria, nella quale l’Isis veniva considerato una minaccia mortale che va combattuta fino alla sua definitiva recessione e neutralizzazione.

Prima di loro il Gran muftì dell’Arabia Saudita, lo sceicco Abdulaziz Al ash-Sheikh, che definì sia l’Isis sia al Qaeda «nemici numero uno dell’Islam» e non appartenenti in alcun modo alla fede comune. La corrente wahabita che sostiene il regime saudita condivide alcune posizioni dottrinali dei terroristi, ma respinge i metodi violenti e il pericolo di destabilizzazione che rappresentano. Lo stesso hanno fatto le principali autorità religiose dei vari Paesi del Medio Oriente, tra cui lo stesso Gran muftì di alAzhar, che più volte ha denunciato l’Isis come una minaccia per l’islam. Non sono, poi, mancate le condanne da parte delle autorità delle comunità islamiche negli Usa, in Gran Bretagna e Francia, e nella comunità islamica Italiana. Ma mai una condanna tanto forte e violenta era stata pronunciata come quella tuonata ieri dall’università alAzhar. Anche perché mai la violenza perpetrata aveva raggiunto livelli così inauditi.

La risposta giordana. Parallelamente alle condanne sul piano teorico dei grandi dell’islam, la Giordania è passata all’azione. La primissima risposta all’uccisione del suo pilota Muad alKasasbeh è stata l’esecuzione, seguendo lo stile della legge del taglione, della pena capitale per Sajida elRishawi e di Ziad alKarbouli. Era la giornata della rabbia e il portavoce del governo ha promesso che «la Giordania farà tremare la terra». Detto fatto, almeno da quanto dicono alcuni account twitter riconducibili a peshmerga curdi. Da Amman è partito alla volta di Mosul un pesante raid aereo, con annesso bombardamento della roccaforte degli jihadisti che ha ucciso 55 membri dell’Isis. Altre fonti, sempre curde, riferiscono di 37 terroristi uccisi ad alKesk, località nella zona ovest di Mosul. Secondo una fonte governativa di Amman, inoltre, non è esclusa la possibilità delle truppe speciali di terra. Una decisione che, probabilmente si fa forte del miliardo di dollari all’anno per i prossimi tre anni stanziato dagli Stati Uniti alla Giordania in aiuti militari, contro i 660 milioni destinati in precedenza per ogni quinquennio.

Di ritorno in anticipo dalla sua visita negli Usa re Abdallah II ha incontrato i vertici militari e ha affermato che la Giordania combatte «una guerra senza posa per salvaguardare i propri valori, la propria fede e i principi umani». Conferma così il suo impegno nella coalizione internazionale, a differenza di quanto fatto dagli Emirati Arabi Uniti che a dicembre l’hanno abbandonata dopo aver visto il rapimento del pilota giordano. Oggi lo sdegno popolare per un giordano ucciso legittima la scelta di combattere, ma fino a poco tempo fa non erano in pochi, in Giordania a chiedere al loro sovrano di seguire l’esempio emiratino. Prima che fosse troppo tardi.

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