Motivazioni dell'ergastolo ad Alessia Pifferi: abbandonò la figlia per un «futile ed egoistico motivo»
La 37enne è stata condannata lo scorso 13 maggio per omicidio volontario aggravato. Per i giudici nessuna assunzione di responsabilità
Alessia Pifferi, condannata all'ergastolo per aver fatto morire di stenti la piccola Diana il 20 luglio 2022, voleva «regalarsi un proprio spazio di autonomia, nella specie un lungo fine settimana con il proprio compagno, rispetto al prioritario diritto-dovere di accudire la figlioletta».
Lo si legge nelle motivazioni della sentenza dello scorso 13 maggio, in cui la Corte d'Assise di Milano riconosce le aggravanti dei futili motivi e del rapporto di parentela, con circostanze che non permettono in alcun modo le attenuanti generiche.
L'imputata cosciente delle conseguenze
La donna aveva abbandonato a casa, per cinque giorni e mezzo, la bambina poi morta «di stenti e disidratazione», in quanto animata da un «futile ed egoistico movente». La bimba fu trovata senza vita in un lettino da campeggio, con a fianco solo un biberon e una bottiglietta d'acqua vuoti, mentre su un mobile vicino fu scoperta dagli inquirenti una boccetta di En, un calmante che la madre le aveva somministrato nelle settimane precedenti in piccole dosi.
Nell'appartamento della periferia di Milano dove Pifferi viveva, gli investigatori non avevano trovato pappe o alimenti per bambini, né nel frigorifero, né in dispensa, ma in sala, in un borsone e nel trolley si erano rinvenuti diversi vestiti da sera, circa una trentina. Per i giudici, la condannata «per sua stessa ammissione [...] aveva certamente coscienza volontà del disvalore della propria condotta di abbandono e della pericolosità [...] per Diana».
L'atteggiamento a processo
La 37enne se n'era andata a passare un fine settimana a Leffe, dal compagno che però non era il padre della piccola, senza lasciarla con una baby-sitter e senza provvedere che avesse le cure necessarie. Nei fine settimana precedenti, l'aveva fatto anche altre volte.
Secondo la Corte, inoltre, Pifferi ha commesso un reato di «elevatissima gravità, non solo giuridica, ma anche umana e sociale». Si è poi sottolineato come in Aula ha tenuto un atteggiamento caratterizzato da «deresponsabilizzazione», accampando «circostanze oggettivamente e scientemente false», accusando il compagno di «essere stato l'artefice "morale" dell'accaduto». Sintomi, secondo la corte, di una «carente rielaborazione critica».