Come nascono le nostre abitudini (una questione di circuiti cerebrali)

Se ripetiamo gesti e comportamenti per abitudine e quasi senza più pensarci, in una sorta di automatismo incondizionato, la colpa è di un circuito cerebrale. E lo stesso se d’improvviso, nella nostra routine, decidiamo di invertire la rotta. Cambiare cioè un percorso, magari anche solo stradale, in caso di traffico, o fare scelte più innovative. Sembrerebbe un atto spontaneo, quasi involontario, invece a governarlo c’è un complesso meccanismo di neuroni, i quali si attivano al cambiamento (fatto salvo, naturalmente, casi di disturbi ossessivo-comportamentali, che costringono alla ostinata ripetitività). Lo hanno scoperto un gruppo di ricercatori americani dell’Università della California di San Diego, che hanno pubblicato i risultati del loro studio sulla rivista internazionale Neuron.
I due comportamenti. Ci sono quelli abitudinari e quelli deliberati, o good-directed come si è soliti chiamarli in maniera scientifica. Ovvero comportamenti finalizzati entrambi al raggiungimento di uno scopo: azione, obiettivo o gestualità che sia. Gli uni, quelli abitudinari, che ci portano a compiere gli atti senza pensare, perché sono ormai consolidati nella nostra memoria e nella corteccia cerebrale. Tanto che li potremmo fare ad occhi chiusi o mentre compiano altre azioni. Sono quei gesti acquisiti da tempo, come lavarsi le mani, chiudere la porta, percorrere il medesimo tratto di strada senza mai sbagliare nulla. I secondi, invece, i deliberati, sono quelli che motivano al cambiamento: che fanno decidere di raggiungere casa attraverso una strada diversa se si incontra un imbottigliamento, di rinnovarsi nelle abitudini ogni qualvolta sia necessario, senza che a livello cerebrale si crei un importante disequilibrio o un blocco.
A livello cerebrale, si è detto, perché a governare i nostri comportamenti, di qualunque tipo essi siano, ci sono dei circuiti neuronali, guidati a loro volta dagli endocannabinoidi, delle sostanze prodotte normalmente dal corpo e coinvolte in diversi processi fisiologici, fra cui l’appetito, il dolore e la memoria, e che consentirebbero anche il passaggio naturale da un comportamento acquisito a uno nuovo, diverso dall’abitudinario.
In caso di disturbi ossessivo-compulsivi. Facile a dirsi, ma non sempre a farsi. Perché ci sono situazioni in cui questo meccanismo di corretta trasmissione si stoppa e non risponde più ai comandi cerebrali. È il caso ad esempio di chi soffre di disturbi ossessivo-compulsivi, che portano cioè a ripetere con ferrea meticolosità sempre le stesse cose: alla stessa ora, con le stesse rigide metodicità, la medesima sequenza di comportamenti. E il minimo sgarro è intollerabile o comunque causa un sensibile turbamento. A tal punto che gli endocannabinoidi vanno in tilt, e, non obbedendo più alla volontà o al bisogno di cambiamento, restano ostinatamente ancorati a delle azioni fisse.
L’esperimento sui topi. Lo hanno scoperto dei ricercatori studiando in laboratorio il comportamento dei topi con una serie di esperimenti dedicati. Gli scienziati hanno eliminato da queste cavie alcuni particolari recettori degli endocannabinoidi, localizzati nella zona della corteccia orbitofrontale. Sono così riusciti a osservare che, in mancanza di questi elementi, i topi erano indotti a seguire sempre uno stesso circuito, quello dei comportamenti good-directed o deliberati, senza essere però più in grado di passare a delle azioni abitudinarie.
Questo fatto avrebbe invitato i ricercatori a pensare che esistono delle situazioni, anche delle semplici alterazioni, a livello cerebrale, nel sistema neuromodulatorio dei cannabinoidi, che riducono fino ad ostacolare la capacità individuale di mutare da un comportamento a un altro in contesti di necessità. In altre parole, tutto dipenderebbe dagli endocannabinoidi, i quali agirebbero come una sorta di freno sulla corteccia orbitofrontale, promuovendo la formazione delle abitudini. Situazione possibile solo in caso di naturalità e non in presenza di particolari disagi, come i disturbi ossessivo-compulsivi, in cui il meccanismo si bloccherebbe, senza via di uscita.
Le applicazioni scientifiche. L’informazione ottenuta è molto preziosa, dicono gli esperti, dato che costituirà un importante punto di partenza per studiare nuove vie di cura per i disturbi ossessivo-compulsivi ma anche per problematiche legate alle dipendenze dalla droga, ad esempio, dall’alcol o dal gioco. Terapie che avranno tutte un comune fine ultimo: aiutare, in cui non ne è più capace per problemi di natura clinica, a passare da azioni deliberate a abitudinarie. Con sana naturalezza e facilità.