Nel 2050 mangeremo insetti
Attualmente la popolazione mondiale è di 7 miliardi di persone, tutte con una stessa identica necessità: cibarsi. Per questo non è un caso che il problema della fame nel mondo e della produzione di cibo siano due temi che, da anni, stanno a cuore a governi e ad associazioni non profit globali. Secondo la Fao (Food and Agriculture Organization), negli ultimi quattro anni la quota di persone che soffrono di fame cronica nel mondo è giunta a 842 milioni. Tante, ma, in rapporto alla popolazione di 40 anni fa, meno di quante sarebbero potuto essere, grazie soprattutto alla rivoluzione attuata dai Paesi industrializzati che hanno raddoppiato, dal 1970 ai primi anni ’90, la produzione di cereali per Stati dell’Asia. Laggiù, allora, si faceva sentire maggiormente il problema della fame e oggi, invece, questa è l’area trainante del prodotto interno lordo globale. L’agricoltura, però, necessita di molta acqua, ha bisogno di ampi terreni e produce più gas serra di industrie e traffico. Se al momento tutto ciò non rappresenta un problema, quando, nel 2050, la popolazione mondiale dovrebbe toccare quota 9 miliardi, bisognerà trovare una risposta ad una domanda: come sfamare tutti senza distruggere il pianeta?
Dalla carne agli insetti. Nel 2050 gli interi equilibri mondiali saranno variati. La Cina, già oggi economia trainante, avrà superato nettamente il Pil americano, mentre il Pil dell’India avrà distaccato economie quali quelle giapponesi, tedesche e del Regno Unito. Non ci sarà più il terzo mondo che conosciamo oggi, ma diversi Stati del “sud” del pianeta saranno realtà economiche davanti a cui non si potrà più restare indifferenti e le loro popolazioni avranno cambiato abitudini, anche e soprattutto gastronomiche. Se oggi sono popolazioni per la maggior parte vegetariane (la carne costa troppo), la loro dieta si sposterà verso la nostra attuale, aumentando dunque la richiesta di prodotti quale carne, uova e latte. Gli allevamenti aumenteranno, ma se già l’agricoltura costa non poco alla Terra, gli allevamenti ancora di più: sono necessari più di 5mila litri di acqua per produrre un chilo di manzo, mentre ne bastano 500 per un chilo di grano. Del resto, però, il passaggio dalla dieta principalmente vegetariana a quella carnivora è stato uno dei passaggi principali dell’evoluzione della specie umana. L’approvvigionamento di proteine (ricchissime nella carne) è dunque fondamentale per lo sviluppo delle capacità umane. Si è iniziato quindi a pensare a come offrire il fabbisogno proteico necessario ad una popolazione tanto vasta senza però distruggere il pianeta con l’aumento di allevamenti e una delle soluzioni possibili è quella del passaggio all’entomofagia, ovvero iniziare a mangiare insetti.
La dieta del futuro. Pensare all’entomofagia non è neanche un’ipotesi così irrealistica. Nella maggior parte dei Paesi tropicali, già oggi gli insetti fanno parte della dieta quotidiana della popolazione. Si stima che circa 2 miliardi di persone si nutrano di insetti. Sono gli animali più numerosi al mondo e oltre 1.500 specie sono commestibili. In diversi Paesi esistono addirittura veri e propri allevamenti in grado di produrre migliaia di tonnellate di insetti commestibili l’anno. L’entomofagia andrebbe a risolvere il problema dell’approvvigionamento di proteine: molti insetti sono, per oltre il 70%, composti da proteine. Se nella nostra cultura occidentale non si mangiano insetti è, secondo molti studiosi, solamente una questione di abitudini: l’allontanamento dalla natura ci ha portato a considerare gli insetti unicamente come animali inutili e seccanti. Nella visione occidentale, i Paesi in cui ci si ciba di insetti sono Paesi poveri dove si soffre la fame, ma non sempre è così, anzi, spesso gli insetti sono considerati vere e proprie delizie, come ad esempio nel Laos. Nel 2050, però, la richiesta di carne sarà aumenta del 70% e già oggi circa il 65% delle terre coltivabili vengono utilizzate per l’allevamento: sarà impossibile dare un’offerta all’altezza della domanda e anche l’Occidente potrebbe dover aprire le proprie “cucine” agli insetti.
Mark Post con il suo primo hamburger artificiale, prodotto da cellule staminali bovine
Il miglio
Coltivazione di sorgo
Piantagioni di quinoa sulle Ande
Se l’idea proprio non vi aggrada, potete sempre sperare nella carne artificiale, cioè quella ricavata da cellule staminali bovine. Nel 2013 fece scalpore il primo hamburger prodotto in questo modo e presentato al mondo dall’equipe di scienziati guidati da Mark Post, docente all’Università di Maastricht. Il sapore non era ancora un granché, ammise lo stesso scienziato, ma i risultati raggiunti erano già stupefacenti. Post ha stimato che, se la ricerca continuerà, nel giro di sette anni sarà già possibile commercializzare la carne artificiale e se all’inizio sarà costosa, in poco tempo il prezzo dovrebbe calare. Su un pianeta sempre più caldo e arido, anche la produzione di diversi cereali sarà messa a rischio e potrebbero venire riscoperti cereali come il miglio e il sorgo, oggi praticamente spariti dalla dieta occidentale,e che necessitano di poca acqua. Dalle Ande arriva invece la quinoa, una pianta molto nutriente e in grado di essere coltivata anche in condizioni solitamente impensabili all’agricoltura. Insomma, preparatevi ad aprirvi a nuovi gusti, perché il 2050 non è poi così lontano.