Urge una riforma

I numeri della mala giustizia italiana 7mila innocenti all'anno in prigione

I numeri della mala giustizia italiana 7mila innocenti all'anno in prigione
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Il rinnovato scontro fra politica e magistratura è uno dei temi più significativi degli ultimi giorni. Per il momento si profila solo a livello mediatico, con la fortissima intervista del neo presidente della Associazione nazionale magistrati Piercamillo Davigo al Corriere della scorsa settimana, ma il futuro appare tutt'altro che disteso. Nel frattempo, numeri alla mano, si può già cominciare a constatare che l'universo giudiziario italiano soffre di alcune distorsioni patologiche su cui sarebbe bene che si facesse una seria riflessione: in Italia, mediamente, ogni anno 7mila persone vengono incarcerate ingiustamente, nel senso che, prima o poi, arriva la sentenza che certifica la loro innocenza. Un dato che, oltre a celare una spesa abnorme dello Stato fra costi del processo e risarcimenti effettuati, certifica la necessità impellente di una riforma della giustizia.

 

I numeri della mala giustizia. 7mila, dunque, è il dato da cui partire: a tanto, infatti, ammonta la quantità di persone che ogni anno in Italia viene incarcerata, il più delle volta attraverso misura cautelare, per poi accogliere una sentenza che sancisce la mancanza di alcun tipo di reato. Nel corso del 2014, per esempio, sono state accolte dai giudici delle corti d'appello 995 domande di risarcimento e liquidati 35,2 milioni di euro. Soldi che si sarebbero potuti spendere per migliorare la giustizia medesima. A scorrere le statistiche, secondo le schede approntate dal Ministero dell'Economia e Finanze appena recapitate al Ministero della Giustizia, in un anno c'è stato un incremento del 41,3 percento dei pagamenti. Nel 2013, le domande accolte erano state 757, per un totale di 24,9 milioni di euro. Fanno impressione anche i numeri complessivi: da quando esistono i risarcimenti per ingiusta detenzione, cioè dal 1991, lo Stato ha speso la stratosferica cifra di 630 milioni di euro. Complessivamente, nel giro di 15 anni, sono quasi 25mila i cittadini che hanno sofferto di una custodia cautelare ingiusta e che perciò sono stati risarciti. E bisogna tener conto che, per non far esplodere oltremodo la spesa, la legge stabilisce un tetto di 516.400 euro per singolo risarcimento, e che solo un richiedente su 4 ha ottenuto qualcosa: la spesa potrebbe essere ancora maggiore.

 

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Soldi e tempo sperperati, ma soprattutto vite rovinate. La Stampa ha raccolto alcune storie di cittadini che sono stati vittima di un sistema giudiziario approssimativo e spesso con inspiegabili eccessi giustizialisti. É il caso, per esempio, di Francesco Lena, imprenditore siciliano che 5 anni fa è stato arrestato per presunte collusioni di stampo mafioso. Alla base delle accuse, una telefonata in cui due malviventi facevano il suo nome e dalla quale si sarebbe presupposto che Lena fosse un prestanome nientemeno che di Bernardo Provenzano. Reputazione irrimediabilmente infangata, 23 giorni di galera, un anno e mezzo ai domiciliari e tre gradi di giudizio che ne testimoniano l'assoluta estraneità a qualsiasi tipo di azione mafiosa. Pochi mesi prima della pronuncia definitiva della Cassazione, oltretutto, gli vennero sequestrato tutte le proprietà, per le quali ancora oggi combatte per riottenerne il titolo. O, ancora, il caso di Antonio Lattanzi, ex assessore di Martinsicuro, in provincia di Teramo. Accusato di tentata concussione e abuso d'ufficio, è stato arrestato quattro volte in quattro mesi: “Sono stato assolto in ogni grado di giudizio con formula piena. Ma ho fatto 83 giorni di prigione. Non ho capito perché abbiano usato questa durezza nei miei confronti. Dopo il primo arresto i miei avvocati hanno impugnato il provvedimento e sono stato rimandato a casa. Ma passati pochi giorni i carabinieri sono tornati a prendermi. Stavolta davanti ai miei figli. In carcere l'idea del suicidio mi ha accompagnato ogni giorno e se non fosse stato per mia moglie non so che cosa sarebbe successo. Comunque abbiamo impugnato anche il secondo provvedimento e anche questa volta mi hanno rimandato a casa”. Lo Stato ha risarcito Lattanzi per nemmeno metà della spese processuali sostenute.

 

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Urge una riforma. Si capisce ancor di più, dunque, quanto sia urgente una riforma strutturale della giustizia italiana, che vada da una chiarezza definitiva circa le separazione delle carriera fra giudice e pubblico ministero fino a un corretto funzionamento degli automatismi che portano all'applicazione della custodia cautelare. L'introduzione della responsabilità civile dei magistrati è un buon inizio, ma assolutamente non ancora sufficiente.

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