delitto di seriate

Omicidio di Gianna Del Gaudio, la Procura chiede l'ergastolo per Tizzani: «Fu femminicidio»

Antonio Tizzani deve rispondere anche dell’accusa di presunti maltrattamenti nei confronti della moglie. Per questo secondo capo d'imputazione il pm Laura Cocucci ha chiesto una condanna a 4 anni e 6 mesi, che verrebbero però inglobati da una condanna all’ergastolo. Il 2 dicembre l'udienza di replica della difesa, poi si andrà a sentenza

Omicidio di Gianna Del Gaudio, la Procura chiede l'ergastolo per Tizzani: «Fu femminicidio»
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Una banale lite domestica che avrebbe avuto come tragico epilogo un efferato femminicidio. È questa la tesi sostenuta in Aula oggi, venerdì 27 novembre, dal pm Laura Cocucci che ha chiesto la condanna all’ergastolo nei confronti di Antonio Tizzani, l’ex capostazione in pensione accusato di aver sgozzato la moglie Gianna Del Gaudio nella notte tra il 26 e il 27 agosto del 2016 nella loro abitazione di Seriate. Secondo la pubblica accusa la donna non sarebbe stata uccisa da un misterioso incappucciato entrato in casa con l’intento di rubare contanti e preziosi, né da qualcuno che nutriva sentimenti di vendetta nei suoi confronti.

Il movente, invece, pur non individuabile con precisione, sarebbe maturato in seno al contesto familiare visti i rapporti conflittuali tra i due coniugi; una tesi che sarebbe avallata dalle testimonianze raccolte soprattutto tra i vicini di casa. Antonio Tizzani, infatti, deve rispondere anche dell’accusa di presunti maltrattamenti nei confronti della moglie, violenze fisiche e psicologiche che secondo l’accusa si sarebbero aggravate nel momento in cui l’uomo era andato in pensione e avrebbe iniziato a trascorrere intere giornate in casa. Gianna sarebbe infatti diventata «il capro espiatorio delle frustrazioni di un uomo che dopo essere andato in pensione avrebbe perso i suoi stimoli». Per questo secondo capo d’imputazione il pm Cocucci ha chiesto una condanna a 4 anni e 6 mesi, che verrebbero però inglobati da una condanna all’ergastolo.

Il magistrato, nelle conclusioni esposte in Corte d’Assise, ha evidenziato come le versioni fornite dal pensionato siano contraddittorie e inverosimili, mentre il quadro probatorio emerso a carico dell’imputato sia grave. Fulcro dell’impianto accusatorio è la traccia di dna trovata dai Ris sul cutter ritenuto essere l’arma del delitto che è stata definita dal pm «una prova, non un semplice indizio». Questa traccia, secondo la difesa e il genetista consulente di parte Giorgio Portera, potrebbe però essere frutto di un trasferimento accidentale di dna dal sacchetto di mozzarelle, proveniente dalla scena del crimine, in cui era avvolta l’arma del delitto, oppure di una contaminazione avvenuta nei laboratori del Ris dopo l’apertura del tampone salivare prelevato da Antonio Tizzani. La quantità del materiale genetico trovato in un punto seminascosto dell’arma, era talmente esigua che per individuarla erano state necessarie quattro amplificazioni e nel corso di ulteriori otto accertamenti eseguiti sul cutter in presenza del consulente il dna del pensionato non è più stato trovato. Una tesi che però secondo la pubblica accusa sarebbe da rigettare in quanto i Ris avrebbero seguito le buone pratiche di laboratorio. La traccia di dna ignoto repertata sui uno dei guanti trovati insieme al taglierino, ricollegabile a un profilo genetico trovato sulla salma di Daniela Roveri, resterebbe invece senza spiegazioni. In ogni caso questo elemento per il pm Cocucci è da considerarsi nullo ai fini del processo.

Il 71enne si è sempre professato innocente, raccontando di aver visto la notte dell’omicidio un uomo incappucciato fuggire dal retro dell’abitazione. Rientrato in casa dal giardino avrebbe trovato la moglie senza vita sul pavimento della cucina. Il 2 dicembre è attesa l’udienza di replica da parte dell’avvocato difensore di Tizzani, Giovanna Agnelli, poi si andrà a sentenza.

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