Ennesimo colpo di scena nell’aula della Corte d’Assise di Bergamo dove si sta celebrando il processo per l’omicidio di Sharon Verzeni, la barista 33enne uccisa a coltellate nella notte tra il 29 e il 30 luglio 2024 mentre passeggiava a Terno d’Isola. Moussa Sangare, 31 anni, detenuto con l’accusa di essere l’autore del delitto, ha cambiato completamente versione nella giornata di ieri, lunedì 10 novembre, negando ogni responsabilità e prendendo le distanze dalla confessione resa nei giorni successivi all’arresto.
«Ho visto Sharon litigare con un altro uomo»
Come riportato dai colleghi di Prima Merate, Sangare ha dichiarato in aula: «Passavo di lì in bicicletta e ho visto Sharon litigare con un uomo. Ho capito subito che poteva finire male e non volevo essere coinvolto. Così ho accelerato e me ne sono andato». L’imputato ha poi spiegato di essersi liberato dei vestiti e di un coltello «per paura di essere sospettato di qualcosa che non avevo fatto».
Alla domanda del pubblico ministero su come giustificasse la precedente confessione, Sangare ha risposto: «Me l’hanno detto i carabinieri. Ho ammesso il delitto solo perché ero stressato e credevo che mi avrebbero lasciato andare». Secondo la sua nuova versione, l’assassino sarebbe «qualcuno del posto, uno che conosce bene le zone senza telecamere».
Un punto rimane però senza spiegazione: il dna misto di Sharon e di Sangare rinvenuto sulla bicicletta usata quella notte. «Questa – ha ammesso l’imputato – è l’unica cosa che non riesco a spiegarmi».
La famiglia: «Non ha chiesto scusa, ci rattrista profondamente»
Fuori dal tribunale, parole di dolore e amarezza da parte della famiglia Verzeni. «Pur avendone avuto la possibilità, non ha voluto chiedere scusa – ha commentato Bruno, padre di Sharon – Ha preferito dire che non è lui il colpevole. Questo ci rattrista profondamente: vogliamo solo che si faccia giustizia, ma abbiamo visto che non prova alcun rimorso, e questo ci fa molto male».
Il genitore ha ammesso di aver letto l’interrogatorio dell’imputato davanti ai carabinieri: «Mi sembrava una cosa indescrivibile che arrivasse a tanto, che trovasse soddisfazione a uccidere una persona. Questa è una cosa che non posso giustificare».
I ricordi strazianti dei familiari
Nella stessa giornata di ieri, il 10 novembre, hanno deposto come parti civili i genitori, i fratelli e il fidanzato di Sharon. Testimonianze cariche di dolore che hanno restituito l’immagine di una giovane donna felice, che stava organizzando il matrimonio e sognava di diventare madre.
«Parlo con lei spesso, è un modo per sentirla vicina, perché ha lasciato un vuoto enorme», ha raccontato la mamma Maria Teresa a L’Eco di Bergamo, confessando di riascoltare spesso l’ultimo messaggio vocale e i video sul telefonino «per sentire la sua voce». «Il 6 luglio avevamo festeggiato il suo compleanno, non avrei mai immaginato che fosse l’ultimo. E stava scegliendo l’abito da nozze».
Melody, la sorella 37enne di Sharon, ha raccontato che ora, quando la famiglia si riunisce, «si sente sempre un vuoto, è come se mancasse un pezzo. Ognuno reagisce a suo modo: mio fratello Christopher cerca di rimanere il più possibile con me, i miei genitori cercano di tenersi occupati».
L’anello mai donato, lasciato nella bara
Particolarmente toccante la deposizione di Sergio Ruocco, il fidanzato di Sharon. «Dovevamo sposarci, avevamo terminato il corso di fidanzati. Le avevo comprato un anello che volevo darle in vacanza: avevamo già prenotato il viaggio in Grecia con partenza il 16 agosto» ha raccontato. Quell’anello, Sergio gliel’ha infilato quando lei era nella bara.
Ruocco ha anche ripercorso quella terribile notte: «Alle tre sono venuti a suonarmi i carabinieri. Mi hanno portato in caserma e fino alle 16 del giorno dopo non mi hanno detto che Sharon era morta. Quando mi hanno detto che era stata uccisa ho chiesto di rimanere con loro in caserma perché non sapevo più cosa fare della mia vita».
Il giovane ha vissuto con la famiglia di Sharon fino a luglio scorso, dormendo nella cameretta della ragazza. «È stato brutto, ma un po’ lo capivo che sospettassero di me. I sospetti però passavano in secondo piano. La cosa principale era che non c’era più lei» ha ammesso. E infine i rimorsi che lo tormentano: «Penso spesso che, se quella sera fossi uscito con lei, ora sarebbe ancora viva».
Il quadro accusatorio e le prossime udienze
L’accusa nei confronti di Sangare si basa su elementi considerati solidi dagli inquirenti: oltre al dna misto trovato sulla bicicletta, ci sono la confessione iniziale dettagliata, il ritrovamento dell’arma del delitto e degli indumenti dove l’imputato stesso aveva indicato di averli nascosti, e le immagini delle telecamere che lo riprendono in zona quella notte.
La perizia psichiatrica disposta dalla Corte ha stabilito che Sangare è capace di intendere e di volere, pur soffrendo di un disturbo di personalità di tipo narcisistico e antisociale. Non si tratta quindi della prima ritrattazione: già il 18 marzo scorso l’imputato aveva affermato di essere stato solo un testimone dell’omicidio.
Il processo proseguirà nelle prossime settimane con l’ascolto di nuovi testimoni e l’esame delle prove tecniche raccolte dagli inquirenti. Una famiglia attende giustizia per una giovane vita spezzata in una notte di luglio, mentre passeggiava vicino casa ascoltando musica con le cuffiette.