Dall’omicidio avvenuto a Valbrembo lo scorso marzo, di cui fu vittima il 58enne Luciano Muttoni, si è riusciti a risalire ai responsabili di una grave rapina avvenuta qualche settimana prima nel quartiere Lambrate di Milano nei confronti di un uomo, a cui erano stati portati via effetti personali per un valore complessivo di circa 12 mila euro.
Si tratta di Carmine Francesco De Simone, residente a Bergamo e già in carcere per l’omicidio di Valbrembo, di un ventenne italiano, di un brasiliano di 22 anni e di un marocchino di vent’anni. Per tre di loro è stata emessa dal Gip del Tribunale di Milano un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, per uno in regime di arresti domiciliari con braccialetto elettronico. A darne esecuzione, nelle prime ore del 4 novembre, i carabinieri del nucleo investigativo di Bergamo, con i militari dei comandi provinciali di Monza e Savona.
Lo smartphone che ha legato i due crimini
La rapina è avvenuta lo scorso 26 febbraio all’interno di un’abitazione nel quartiere Lambrate di Milano. Tre degli indagati, dopo che uno di loro aveva instaurato un contatto con la vittima, si sarebbero introdotti in casa sua durante la notte, con il volto travisato e armati di pistola. Una volta all’interno, avrebbero colpito l’uomo con calci, pugni e il calcio dell’arma, trascinandolo a terra e intimandogli di consegnare denaro e beni di valore.
Un vero e proprio pestaggio, tanto che la vittima ha riportato importanti lesioni. I rapinatori si sono quindi impossessati di un iPhone 16 Pro Max, un paio di scarpe di marca Louis Vuitton Air Force e altri effetti personali, per un valore complessivo di circa dodicimila euro, per poi darsi alla fuga. L’omicidio di Valbrembo, avvenuto invece il 7 marzo, è legato a doppio filo con questo caso di rapina.
Questo perché nel corso delle perquisizioni eseguite successivamente al delitto, i militari rinvennero nell’abitazione di un amico di uno dei due soggetti ritenuti responsabili proprio il telefono cellulare rubato all’uomo di Milano. Contattata la vittima, gli investigatori sono venuti a conoscenza della presenza di alcuni filmati di videosorveglianza che, attraverso una telecamera installata in casa, avevano ripreso integralmente la scena della rapina.
Un’informazione fino ad allora sconosciuta ai militari, dal momento che l’uomo aveva denunciato un semplice furto e non una rapina, non mettendo quindi a disposizione degli inquirenti i filmati poiché temeva ritorsioni. A maggio, i carabinieri di Bergamo, coordinati dalla Procura della Repubblica di Milano, hanno poi eseguito perquisizioni domiciliari nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili, nel frattempo individuati: sono stati sequestrati cellulari e indumenti indossati durante l’azione delittuosa.
La successiva analisi dei tabulati telefonici e delle copie forensi dei dispositivi ha consentito di definire con chiarezza i ruoli dei singoli partecipanti, grazie anche alle localizzazioni Gps, ai messaggi vocali e alle chat WhatsApp tra gli indagati prima e dopo i fatti. Particolarmente significativo il ruolo dell’italiano ventenne che, stando a quanto ricostruito, avrebbe reclutato i complici senza partecipare materialmente alla rapina. All’interno di alcune conversazioni rinvenute, è emerso che il giovane aveva organizzato la spedizione criminosa con messaggi inequivocabili: parlava di «fare un lavoro» e di «togliere tutto» alla vittima.
A conclusione delle indagini, il Gip del Tribunale di Milano ha ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza e concreto pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie, sottolineando la particolare ferocia e la determinazione criminale dimostrate dagli indagati. Per tali motivi sono state applicate le tre misure di custodia cautelare in carcere e una agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, eseguite nelle province di Monza e Savona.
Tutti risultano gravemente indiziati, in concorso tra loro, dei reati di rapina pluriaggravata, lesioni personali aggravate e porto abusivo di arma in luogo destinato a privata dimora, con l’aggravante di aver agito in più persone riunite, travisate e con l’uso di un’arma. Al momento si trovano nelle case circondariali competenti e posti a disposizione dell’autorità giudiziaria milanese.