Ora il cibo kosher va di moda Ecco spiegato, di preciso, cosa è

Sarà colpa dell’onda modaiola che coinvolge da tempo il settore alimentare, oppure della voglia di maggior sicurezza dei consumatori, fatto è che in sempre più parti del mondo, specie in Nord America ma anche in Europa (Italia compresa), spopolano falafel e pane azzimo, carne privata del sangue e con pochi grassi e sale certificato kasher, ovvero senza alcun additivo. Stiamo parlando dei cibi kosher, quelli della tradizione ebraica, garantiti naturali e sani perché non contaminati da processi inadatti di lavorazione e cottura e che seguono le leggi non economiche o materiali, ma religiose. Certificati Kaherut, come si addice alla cultura ebraica.
Rispettosi delle Bibbia. È così da 3mila anni per gli ebrei, rispettosi anche a tavola dei dogmi imposti dal loro credo, che impongono di avere prodotti adeguati, corretti, conformi alla loro tradizione e confessione. Ciò significa alimenti strettamente classificati, per non indurre in errori etici o ideologici, come cibo kasher a base di carne, di latte o parve, che non contiene alcun ingrediente né dell’una né dell’altra fattispecie. Sta poi alla massaia fare attenzione a non contaminare il prodotto con la cottura, perché sugli scaffali dei negozi il cibo d’origine giunge perfetto. "Puro" e di cui è possibile conoscere salubrità e tracciabilità, anche in tema di macellazione o trasformazione delle carni secondo i dettami della Shechitah, la legge che regola scrupolosamente queste modalità di trattamento degli alimenti.
Gli Italiani kosher. Un rigore che attira, anche in Italia. E non parliamo della popolazione ebrea presente nella nostra comunità, ma soprattutto di vegetariani, vegani, celiaci e lattofobi che trovano nell’alimentazione kosher una risposta concreta ai loro bisogni. Perché, ad esempio, per i solo "green" un polo di indiscussa attrazione sono la Bedikà e il Nikur, cioè le regole rituali che disciplinano il controllo sanitario, il taglio e l’eliminazione dei grassi vietati, ed il doppio marchio Kosher Parve, a garanzia che si alimenteranno con cibo in cui l’assenza di carne latte e derivati è assoluta. I lattofobi, invece, si sentono tutelati dalla regola biblica secondo cui il latte e la carne vanno tenuti rigorosamente separati. Infine, per gli intolleranti al glutine, la manna è rappresentata dai cibi Kosher Passover, quelli prodotti cioè per la Pesach, la Pasqua ebraica, in cui tutti i cereali, lieviti e frumenti vengono passati ad un attento setaccio per escludere la presenza anche di addensanti. Non ultimo, il cibo kosher è apprezzato da alcune confessioni religiose, come per esempio quella islamica, quella degli avventisti del settimo giorno e degli induisti, che in mancanza di alimenti in grado di rispettare in toto la precettistica imposta dal loro credo, trovano in esso un compromesso accettabile tra le esigenze del corpo, dell’anima e quelle dell’ambiente.
Si modifica la produzione italiana. La tendenza alimentare kosher in costante crescita sullo stivale, non poteva passare inosservata all’industria alimentare italiana che ha modificato di conseguenza la sua produzione. Sono all’incirca 200 le aziende ormai autorizzate Kosher, fra queste Barilla, Ferrarelle, Olio Sasso, De Cecco, Lazzaroni, Bonomelli, Lavazza, Scotti, Perugina, De Rica, Santa Rosa, Nestlé, Ferrero, Algida, Mutti e tantissime altre, ma di esse solo una ventina utiilizzano ufficilamente il marchio. Il motivo della reticenza da parte di alcune pare risiedere nel fatto che questi prodotti sono decisamente più cari, oppure, si dice, anche in alcuni scrupoli puramente commerciali (gratificare le necessità alimentari di una minoranza religiosa, ma comunque influente dal punto di vista economico-finanziario, o allargare l’alimentazione kosher anche ad altre comunità oltre a quelle ebraiche). Comunque i prodotti certificati kosher, oggi, sono 135mila, contro i soli 2mila del 1977, con 8mila nuove produzioni ogni anno. Pare inoltre che stia aumentando il numero di aziende che decidono di fare analizzare i loro prodotti dalle autorità religiose ebraiche, le uniche in grado di valutare la salubrità del prodotto, di cui la più grande holding di certificazione ebraica del pianeta è Orthodox Union, che dispensa il logo OU impartito da cinquecento rabbini che monitorano 400mila alimenti e 6mila fabbriche operanti in 80 Paesi del mondo.
Ma il cibo kosher è davvero sano? Uno studio del governo canadese rivela le diverse motivazioni che spingono il consumatore a previlegiare l’acquisto di un cibo con certificazione religiosa: il 62 percento lo ritiene di qualità superiore, il 51 percento più sano e il 34 percento più sostenibile. In merito alla salubrità, però, qualche dubbio potrebbe sorgere, perché partendo dall’assunto che uno dei comandamenti del decalogo kosher vuole che il cibo non contenga nulla che possa risultare dannoso per la salute, dovremmo avere una popolazione ebraica vetusta, in longevità e salute. Invece pare che tra essa si annidino comunque molte malattie dell’occidentalità: tassi di coleresterolo molto basso (è un dato di fatto) che contrastano però con una incidenza di infarti e obesità pare fra le più alte in assoluto, per fare un solo esempio. Dunque niente di così religiosamente virtuoso, verrebbe da dire, neppure per il cibo kosher, ma pregi e limiti al pari di una qualsiasi altra alimentazione della tradizione.