A ottant'anni dalle leggi razziali il razzismo c'è ancora (sui social)

Fu una giornata funesta, quel 18 settembre di 80 anni fa. Benito Mussolini, dal palco in Piazza Unità d’Italia a Trieste, annunciò l’approvazione delle leggi razziali. Le leggi per la difesa della razza approvate dal Consiglio dei ministri, titolava a piena pagina il giorno dopo il Corriere della Sera. Oggi una targa fissata sul pavimento della piazza triestina ricorda quel giorno, che rappresentò anche il definitivo e tragico allineamento dell’Italia fascista con la Germania nazista.
Obiettivo di quel provvedimento erano, naturalmente, gli ebrei. Tra i punti deliranti del manifesto che originò la legge, si diceva infatti che «la popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà è ariana. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa». Si sosteneva poi la necessità di difendere la purezza della “razza italiana”, cosa che era stata una delle priorità del regime: «Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è, in fondo, del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza». Secondo la legislazione introdotta quel 18 settembre, era ebreo chi era nato da genitori entrambi ebrei, da un ebreo e da una straniera, da una madre ebrea in condizioni di paternità ignota oppure chi, pur avendo un genitore ariano, professasse la religione ebraica. Chiunque venisse riconosciuto in queste tipologie di discendenze era sottoposto a una serie di pesanti provvedimenti discriminatori: una violazione dei diritti che ci è stata drammaticamente testimoniata da centinaia di libri e di film, non ultimo il meraviglioso La vita è bella di Roberto Benigni.
https://www.youtube.com/watch?v=2Qoq1X4nWYE
Sono passati 80 anni e ancora l’Italia se la deve vedere con i fantasmi sempre rinascenti del razzismo, seppure in forme diverse. Proprio ieri (13 settembre) il commissario europeo agli Affari economici, Pierre Moscovici, ha parlato di tanti «piccoli Mussolini» che starebbero crescendo in tutta Europa, Italia compresa, evocando lo spettro (lui tra l’altro ha origini ebraiche) di quel momento cupo della nostra storia. C’è dell’esagerazione strumentale in quelle affermazioni del politico francese, tuttavia bisogna riconoscere che il tema del razzismo subdolamente rischia di prendere piede in tanti strati della popolazione, soprattutto grazie al tam tam irrazionale della rete. Una deriva strana per un Paese che ha dato prova di capacità di accoglienza e di integrazione assai maggiore rispetto ad altri Paesi europei. Ma proprio ieri è arrivata una notizia che può tranquillizzare Moscovici: l’Ufficio esecuzioni penali di Venezia ha condannato quattro italiani responsabili di aver messo in rete di post razzisti su Facebook a una pena esemplare, perché oltre a dover pagare 200 euro come risarcimento danni, dovranno svolgere lavori di pubblica utilità. La novità sta però nell’impedimento di usare Facebook e nell’obbligo di leggere libri o guardare film sul tema delle immigrazioni. Il processo è stato sospeso: i quattro verranno riconvocati in aula il 19 maggio del 2019. Se avranno dato prova di ravvedimento, la loro vicenda giudiziaria si potrà dire conclusa.
A 80 anni dalle legge sul razzismo, non ci poteva essere iniziativa migliore.