Otto anni di crisi, e i sindacati? Quelli bergamaschi han tenuto

Otto anni di crisi, la più dura dal Dopoguerra, nella Bergamasca hanno messo in ginocchio centinaia di aziende, ridimensionato interi settori produttivi, cancellato migliaia di posti di lavoro. Che conseguenze ha avuto questo interminabile terremoto sulle organizzazioni sindacali? Dopo un periodo tanto difficile, i lavoratori si riconoscono ancora, almeno formalmente e cioè tesserandosi, nelle sigle storiche? Adesso che l'economia registra una timida ripresa, la Cgil di Bergamo ha voluto tracciare il bilancio di questi anni - in una conferenza stampa alla quale erano presenti i vertici provinciali, guidati dal segretario generale Luigi Bresciani - analizzando i dati relativi al tesseramento 2015, confrontati con quelli dell'anno precedente, ma soprattutto mostrando il trend dell'intero periodo 2008-2015. Al di là delle cifre, ne è emersa un'interessante fotografia di come è cambiato il mondo del lavoro nel nostro territorio.
Le ferite della crisi. Bresciani ha mostrato in primo luogo le ferite lasciate dalla crisi all'interno della sua organizzazione. Le difficoltà economiche si sono infatti in parte riflesse sull’adesione al sindacato: «I conti della crisi - ha detto il segretario provinciale - si sono presentati negli anni 2014 e 2015, che hanno visto calare il numero complessivo dei tesserati alla Cgil Bergamo. Il manifatturiero (Filctem) è in difficoltà perché sono finite le casse integrazioni e le mobilità; l’edile (Fillea), si sa, è il più colpito; i grafici (Slc) pagano il confronto con le nuove tecnologie. Ci sono poi parecchi lavoratori in mobilità ancora iscritti al sindacato, ma che nei prossimi anni cesseranno di esserlo». Negli ultimi due anni, in sintesi, la Cgil ha registrato cali generalizzati negli iscritti, seppur lievi, ad eccezione della Filctem (manifatturiero, + 3 percento). Nel 2015 gli iscritti, rispetto al 2014, nel comprensorio di Bergamo sono diminiuti dell’1,7 percento: da 94.637 a 92.984.
I dati più interessante riguardano però l’intero periodo 2008-2015: i settori in difficoltà sopra citati hanno infatti segnato cali ancor più evidenti nel numero di tesserati. La Filctem (chimici, tessili, energia, manifattura) ha visto un abbassamento del 16,9 percento; la Slc (grafici, cartai, poste, telefoni) del 16,7; la FIllea (edili, legno e affini) dell’8,8. Il settore dell’agro-industria ha perso nel complesso il 7,6 percento. Anche i trasporti (Filt) non sorridono: meno 17,8 percento; così come il credito e le assicurazioni (Fisac): meno 11,3.
Nonostante ciò, Bresciani ha voluto però sottolineare un dato decisamente positivo, ossia che il numero totale dei tesserati, tra il 2008 e il 2015, è rimasto sostanzialmente invariato: erano 92.823 nel 2008, sono 92.984 nel 2015. Come è possibile? Grazie ad alcune categorie che hanno incrementato in modo deciso il numero di iscritti: agricoltura e alimentazione (Flai) più 13,6 percento; commercio e servizi (Filcams) più 40,5; scuola (Flc) più 13,2; nuove identità di lavoro (Nidil) più 77,4. «Abbiamo attraversato la crisi con una tenuta straordinaria - ha concluso il segretario Cgil -, a fronte di quanto successo in Europa e nel mondo. Nel complesso non usciamo ridimensionati; poi certo, i dati dei singoli settori indicano dove abbiamo perso e dove guadagnato».
E la Cisl? Nel complesso si può dire che anche questa organizzazione ha retto all’urto anche se, come la Cgil, negli ultimi due anni ha visto un calo progressivo. Nel 2008 gli iscritti alla Cisl erano 121.526 e sono rimasti su quelle cifre, con variazioni di poche decine, sino al 2011. Nel 2012 c’è stato un cambiamento organizzativo, dato che il comprensorio del Sebino è stato smembrato in due parti, una finita sotto Bergamo e l’altra sotto Brescia. Questo ha portato ad un aumento di 6.785 membri in quell’anno, per un totale di 128.077. I cali sono arrivati solo recentemente: 127.137 (2013), 126.747 (2014) ed infine 124.147 (2015). L’ultimo passaggio è stato il più doloroso, con meno 2.600 tessere.
Il confronto. L'andamento fra le due maggiori organizzazioni sindacali del territorio è dunque stato simile, ma non identico. Se il sindacato presieduto da Bresciani ha infatti mantenuto invariato il numero complessivo, lo deve all’andamento in positivo del periodo 2008–2012, in cui è passato da 92.823 a 96.549 iscritti. Al contrario, la Cisl Bergamo in quel periodo non ha visto incrementi, ma una sostanziale parità. Si può comunque dire che le sigle più importanti abbiano resistito bene nonostante la crisi. Sommando Cgil, Cisl e Uil si arriva al 35 percento dei lavoratori totali della Bergamasca. E se è vero che sta iniziando la ripresa.