La dottoressa Lagrotta

Paure e fobie: in tante famiglie si è persa la bussola. «Serve più assistenza nelle case»

«In tanti ricorrono ad antidepressivi, vai a curarne uno e pure i suoi parenti ti chiedono aiuto. E ora ci sono i “post Covid cronicizzati»

Paure e fobie: in tante famiglie si è persa la bussola. «Serve più assistenza nelle case»
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di Angela Clerici

«Bisogna capire che è l’assistenza nelle case che va potenziata, che va migliorata. Non si può pensare di costruire sempre nuove strutture, ospedali, case di riposo e nemmeno di lasciare i malati, gli anziani, i disabili a se stessi. In questo periodo di epidemia lo si comprende meglio, ma il coronavirus passerà, speriamo presto. Il problema invece resta, anche per via dell’invecchiamento della popolazione. Se il servizio medico sul territorio sarà valido, capillare, allora le grandi strutture non rischieranno mai di venire travolte dagli eventi».

Mariavittoria Lagrotta è medico anestesista, per tanti anni ha lavorato ai Riuniti e poi al Papa Giovanni, oggi è impegnata nell’assistenza domiciliare, in particolare per le cure palliative e la terapia contro il dolore. Nei mesi del Covid si è trovata in mezzo alla tempesta. Dalla disperazione di marzo alla seconda ondata, molto più moderata, di questi giorni. «Stiamo vivendo di nuovo una situazione molto impegnativa, ma di certo non possiamo paragonarla a quella di marzo e aprile. Tuttavia questo è stato un anno che ci ha segnato tutti. La maggior parte delle persone ha tenuto fermo il timone, ma in tanti hanno perso l’orientamento. Se hai l’occhio un po’ allenato, te ne accorgi semplicemente camminando per strada, guardando le persone con gli occhi persi nel vuoto, fissi davanti a sé, con i movimenti rigidi, limitati. Non è difficile distinguere fra chi fa uso di psicofarmaci e chi no. E in questo periodo tante persone sono ricorse agli antidepressivi, ai calmanti. Lo vedo nelle famiglie, quante fobie, quante paure, ossessioni. In quante famiglie c’è chi continua a disinfettarsi le mani, in modo compulsivo. Quanti non escono più di casa. Anche durante l’estate scorsa, quando pure il virus era “in vacanza” c’era gente che non varcava l’uscio».

Paure, fobie. Ma, soprattutto, Mariavittoria racconta una particolare trasformazione delle visite nelle famiglie. «Fino a un anno fa mi recavo in una famiglia, praticavo la mia terapia, più o meno spesso. Adesso vai in una famiglia per un paziente e devi visitare quattro persone. Questo perché risulta più difficile, in questo periodo, prenotare visite mediche, esami, e farsi curare. A questo si aggiunge il timore di uscire, di recarsi in ospedale o dal medico. E allora, visto che sei già lì, ti chiedono un aiuto... Questo è un altro indicatore di come sia importante la medicina, l’assistenza a domicilio».

Mariavittoria Lagrotta insiste su questo concetto, dice che dopo la batosta di marzo e aprile qualcosa è cambiato, ma non abbastanza. Le risorse impegnate dal Sistema sanitario per il territorio sono ancora poche. Gli infermieri di famiglia sono una novità, ma rappresentano un numero esiguo e spesso vengono attinti dal personale che già era in servizio in altre strutture. Sono state istituite anche le Usca che però, dice Lagrotta «Facilmente di fatto sostituiranno tutti quei medici di base che sono andati in pensione oppure che sono morti a causa del coronavirus».

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