Perché via Fara? E via Pignolo? e via Broseta?

Pelabrocco, Vàgine (fate attenzione all'accento) e altri nomi strani delle vie di Bergamo

In passato, i nomi delle vie nascevano in maniera spontanea, un po’ come i soprannomi delle persone; nascevano per via di mestieri, di caratteristiche del terreno, di famiglie che vi vivevano, di funzioni

Pelabrocco, Vàgine (fate attenzione all'accento) e altri nomi strani delle vie di Bergamo
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di Paolo Aresi, foto di Devid Rotasperti

A un certo punto, si cominciò a dare i nomi alle vie, in modo sistematico, ricordando i grandi uomini del passato. In realtà, è una consuetudine abbastanza recente: via Verdi, via Paleocapa, via Angelo Mai, via Garibaldi, via Mazzini... e via dicendo. In passato, i nomi delle vie nascevano in maniera spontanea, un po’ come i soprannomi delle persone; nascevano per via di mestieri, di caratteristiche del terreno, di famiglie che vi vivevano, di funzioni. Perché via Fara? E via Pignolo? e via Broseta e Aquila Nera e via del Vagine, Pradello, Sentierone, Masone, Pescaria, Contrada Tre Passi, Foro Boario, Boccaleone... Nomi di vie, di zone, che poi magari sono diventati pure quartieri.

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La pineta di Pignolo

Cominciamo dalla via Pignolo, una delle più importanti della città, che dà il nome a tutto il borgo. In effetti, il nome Pignolo sulle carte arrivò relativamente tardi; nella parte bassa, fino all’inizio del Novecento, è stato identificato come Borgo Sant’Antonio e sfociava nella porta omonima che si apriva nelle Muraine: oltre c’erano la roggia Serio e il Borgo Palazzo. Oggi invece c’è l’incrocio con le vie Camozzi e Frizzoni e non esiste più traccia della porta con il passaggio sulla roggia che anticamente collegava i due borghi. La parte alta invece veniva definita il “Mugazzone”. Poi si affermò il nome Pignolo, a partire dal Cinquecento. Forse perché su quel versante del colle esisteva una pineta che venne abbattuta per costruire i nobili palazzi e le case della via e magari anche per fare posto alla porta Sant’Agostino e a quel tratto di Mura Venete. Un’anziana signora che abita all’inizio di via San Tomaso, scendendo da via Pignolo, nel suo giardino custodisce un vecchio pino silvestre: i suoi nonni (nati verso il 1870) sostenevano che si trattasse di un esemplare sopravvissuto dell’antica pineta. Del resto, sulla fontana del Delfino è scolpito uno stemma: al centro una bella pigna.

La Magione e i cavalli

Sempre in Pignolo incontriamo la via Masone: la derivazione è da “Magione” perché lungo questa via che collegava al Pradello, al Cornasello e ai conventi di San Benedetto e di Matris Domini, si trovava la grande casa dei frati Umiliati, dove oggi hanno sede le suore Orsoline di Gandino. Se scendendo da via Pignolo, all’altezza dell’ingresso delle suore, guardate per terra, troverete una pietra che indica proprio il luogo della “Magione”. E che dire della via Pelabrocco? Prima che si costruisse la porta Sant’Agostino, il collegamento con Città Alta passava proprio per la via Pelabrocco che continuava dritta in direzione della porta Donesamani (da cui l’attuale via Osmano) e quindi della Porta Dipinta, con notevole pendenza: per i “brocchi”, cioè per i cavalli vecchi e magari malnutriti, era una vera sofferenza.

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Salendo dalla Fara

Oltre la via Pignolo, dopo la porta S. Agostino, si arriva in via della Fara: il nome è molto antico, di origine longobarda, e si riferiva a un terreno che veniva dato a una parentela, una sorta di tribù, nei luoghi conquistati di recente. È quindi molto probabile che la “Fara” di Città Alta fosse uno di questi terreni, su cui, forse, venne costruito un villaggio longobardo. Restando in Città Alta, tra i nomi evocativi c’è quel vicolo “Aquila Nera” che deve il suo nome a un’osteria; e pure il vicolo Ghiacciaia deve il suo nome a un utilizzo: si trovava qui quel “pozzo” dove veniva ammucchiata la neve in modo che ghiacciasse e resistesse anche durante la bella stagione. E la via del Vàgine? Il nome è lo stesso dell’organo sessuale femminile, soltanto con l’accento spostato sulla vocale precedente. Ora, il nome stava a indicare i foderi dove inserire le spade, quindi le ipotesi fondamentali sono due: o in questa via si realizzavano foderi in cuoio o altro pellame (ricordiamo che nelle valli si forgiavano importanti spade e lance in ferro e acciaio) oppure si trattava di una via della prostituzione. E l’accento spostato? Sembra che la decisione risalga al periodo del concilio di Trento e che venne adottata per ragioni di... moralità. Si tratta comunque di uno degli angoli più suggestivi di Città Alta, con quei grandi archi e quella fontana ipogea che risale a prima dell’anno Mille. E se quel “vagine” si riferisse alla fessura della sorgente? Tanto più che la sorgente vicina era chiamata della piccola bocca, ovvero della Boccola... da cui l’appellativo della strada.

Il mercato del bestiame

I nomi affondano radici nella storia, nel linguaggio, nelle consuetudini dei bergamaschi. Accanto al liceo Lussana troviamo la via Foro Boario, che deriva dal latino “bovarius”, che era una piazza di Roma dove si teneva il mercato del bestiame, quindi “foro” nel senso di piazza, luogo di mercato e di affari. Il mercato del bestiame si teneva proprio lì, dove oggi esiste la stazione delle autolinee; a due passi, dove adesso sorgono le magistrali (liceo psicopedagogico), esisteva il macello che ha resistito fino agli anni Cinquanta (ci sono fotografie che lo documentano).
Un altro nome curioso: Fontanabrolo. È un nome composto: la fontana e il brolo. Si tratta della più bella e impervia delle nostre scalette, che dalla zona piscine sale a borgo Canale. Canale, fontana... Su quel pendio esistevano dei broli, cioè degli appezzamenti di terreno protetti da muretti di cinta, dove si coltivavano per lo più alberi da frutta; ma c’è anche il nome “fontana” che si lega a quello del borgo “canale”: da quel pendio scendeva copiosa l’acqua, in particolare in presenza di periodi piovosi, acqua che scendeva verso la zona del vecchio ospedale, Loreto e la Trucca, alimentandone la zona acquitrinosa.

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