Omicidio di Seriate

Per la prima volta, in aula ha parlato Tizzani: «Nessun litigio: ero in giardino, Gianna in cucina»

L'uomo, unico imputato per l'omicidio della moglie, si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere. In Tribunale ha spiegato il senso di alcune frasi intercettate mentre era da solo in auto. «Erano domande retoriche perché tutti mi accusavano di essere un assassino»

Per la prima volta, in aula ha parlato Tizzani: «Nessun litigio: ero in giardino, Gianna in cucina»
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È durata circa tre ore l’udienza che ha visto alla sbarra Antonio Tizzani, 72 anni, ferroviere in pensione e unico imputato per l’omicidio della moglie Gianna Del Gaudio, sgozzata la notte tra il 26 e il 27 agosto del 2016 nella loro abitazione in via Madonna delle Nevi, a Seriate. L’uomo quando era stato convocato in Procura si era avvalso della facoltà di non rispondere e oggi, martedì 27 ottobre, ha raccontato per la prima volta davanti al pm Laura Cocucci, titolare del fascicolo, e alla Corte d’Assise quanto ha visto la notte dell’omicidio. Fino ad oggi, infatti, Tizzani aveva esposto la propria versione dei fatti e parlato del misterioso uomo “incappucciato” ai media.

«Finito di cenare, poco dopo la mezzanotte, abbiamo salutato mio figlio, Mario, e la compagna Alessandra. Quindi, io sono andato in giardino ad annaffiare le piante, mentre Gianna è andata in cucina a lavare i piatti – ha detto Tizzani – Quando sono rientrato ho visto un uomo incappucciato chino sulla borsa di mia moglie. Gli ho chiesto chi fosse ed è fuggito dalla portafinestra che affaccia sul giardino della cucina. Non l’ho visto in faccia, ho notato solo che aveva una felpa grigio scuro e mani scure, forse abbronzate o magari sporche di sangue ma sono mie ipotesi. Se avesse indossato un paio di guanti bianchi li avrei notati».

«L’ho inseguito in cucina e ho visto Gianna a terra, in una pozza di sangue – ha aggiunto -. Ho provato a chiamarla ma non rispondeva. L’istinto di soccorrerla l’ho avuto, ma non l’ho toccata perché la sera prima avevamo visto insieme una trasmissione in tv che parlava del delitto di Garlasco e che sconsigliava di toccare un cadavere. Gianna mi aveva detto “se capitasse a uno di noi, l’altro non deve toccarlo”». Tizzani, che ha spiegato alla Corte di non aver mai visto il taglierino ritenuto essere l’arma del delitto, ha quindi detto di essere rimasto una decina di minuti in giardino a chiedersi perché fosse successa una cosa del genere proprio a sua moglie e di aver notato l’impronta insanguinata di una scarpa da montagna poco distante dalla sedia su cui era seduto. Interpellato in merito a quanto aveva riferito sull’incappucciato, ossia che indossava gli occhiali e aveva i baffi, Tizzani ha risposto: «me lo sono inventato, ho mentito ai giornalisti perché erano insistenti. La verità è che ho sempre e solo visto un uomo incappucciato, ma non in volto».

L’accusa ha poi chiesto all’imputato di spiegare quali fossero i rapporti con la moglie e delle presunte liti e maltrattamenti ai danni di Gianna riferiti da alcuni testimoni durante il processo. «Più che litigi erano discussioni – ha spiegato l’imputato –, mia moglie voleva sempre avere l’ultima parola. Dopo facevamo pace, abbiamo sempre avuto un buon rapporto. Eravamo fidanzati dal 1969. Solo in un’occasione ci siamo comportati da separati in casa ed eravamo entrambi arrabbiati per motivi di lavoro. Non le ho mai tirato schiaffi, al massimo qualche scappellotto, né l’ho mai tirata per i capelli, non so perché qualcuno abbia detto il contrario mentendo. La sera dell’omicidio non avevamo litigato».

Il pubblico ministero ha anche chiesto chiarimenti in merito ad alcune intercettazioni ambientali captate mentre l’imputato era da solo al volante della sua Fiat Bravo. Frasi come: «cosa ho fatto? Ho ammazzato mia moglie in quel modo. Voglio morire», «Il mio angelo sei tu. Ho ucciso un angelo», «Perché Dio? (….) Perché me l’hai tolta? Perché mi hai fatto arrabbiare».

Tizzani ha risposto dicendo che alla fine di ogni frase va aggiunto un punto interrogativo e che quanto ha pronunciato era dettato dal senso di colpa di non essere riuscito a proteggere sua moglie. «Tutti mi accusavano di essere un assassino – ha concluso -. Mi facevo domande retoriche nel tentativo di trovare risposte che però non ho mai trovato. Ero arrabbiato perché se quella notte non fossi stato in giardino ad annaffiare i fiori, probabilmente sarei stato con Gianna e lei non sarebbe morta. Volevo morire anche io, volevo raggiungere Gianna».

Il racconto completo di quanto raccontato da Antonio Tizzani in aula sarà pubblicato sul numero di Prima Bergamo in edicola da venerdì 30 ottobre.

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