«Ha presente la mela di Biancaneve? Fuori è rossa, lucida, davvero bella e viene voglia di morderla, ma dentro ha il veleno che uccide. La riforma è come la mela di Biancaneve». L’ex ministro della Giustizia, il leghista Roberto Castelli è un convinto assertore del No al cambiamento della Costituzione.
Ci spiega il paragone?
«Anche in questa riforma ci sono una buccia e una polpa. Ci sono cose buone che nascondono cose molto cattive».
Ovvero?
«È una buona cosa ridurre il numero dei parlamentari, e di conseguenza i costi della politica, ed eliminare il Cnel, di cui tra l’altro nessuno avverte l’esistenza. Ed è buona cosa che ci sia una forma di superamento del bicameralismo perfetto e le procedure si snelliscano. Almeno così dicono i fautori del Sì… E sempre loro dicono: “Finalmente si cambia…”. Insomma intrigano i cittadini».

Ma…
«… Sono abili a nascondere un veleno che cambierà la nostra vita in peggio. Tralascio alcuni fatti indigesti come il fatto che solo il Padreterno sa come Sala riuscirà a fare il sindaco di Milano, il presidente dell’area vasta milanese e, si presuppone, il senatore. In realtà il bicameralismo resta perché tante leggi devono obbligatoriamente passare dal Senato che comunque potrà avocare a sé anche le altre leggi, il che renderà difficile quel famoso snellimento di cui parlano i fautori del Sì. Ma i veleni davvero mortali della mela sono due».
Quali sono questi veleni?
«Il primo nasce da un discorso che viene da lontano sperimentato nella riforma Delrio: non far più votare il popolo. Quel diritto inalienabile dell’articolo 48 già tolto per le province, viene eliminato anche per il Senato. Paradossalmente si cambia una norma costituzionale per dare un principio anticostituzionale. Ed è di una gravità assoluta. Questa Sinistra elitaria secondo cui il popolo vota male se elegge Trump, come ha detto Napolitano, vuole abituare la gente a non votare più. Dice ai cittadini: “Pensiamo noi a votare per voi, così non sbagliate. Lasciate che siamo noi a pensare al vostro destino, voi non ne siete capaci”. E questa manovra è già iniziata».
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Quando?
«La sera, quando incontro le persone ai dibattiti e chiedo quand’è l’ultima volta che ha votato almeno 15 milioni di italiani, tutti pensano a qualche anno fa. Sbagliato: tre settimane fa quando si è votato per province e aree metropolitane. Ma nessuno se ne è accorto: il voto da diritto universale è diventato diritto di un’élite».
E la riforma sarà un altro passo avanti su questa strada? Sarà una perdita di democrazia?
«Certo. Questa élite pretende di avocare a sé il diritto di voto: “Siccome gli americani hanno votato male, per evitare che anche gli italiani lo facciano, decidiamo noi”, è il loro mantra. Ed è una cosa talmente assurda che molti sostenitori del Sì sono convinti che non sia così. Soltanto per questa perdita di democrazia bisogna votare No».
Il secondo veleno?
«Negli incontri domando agli ascoltatori di chiedersi se la loro vita cambierà in meglio o in peggio. Per i lombardi, i veneti, i piemontesi e gli emiliani sicuramente molto in peggio. Non è con il No che si torna indietro, ma con il Sì. Altro che riforma, quella proposta è una controriforma. È logico che in Basilicata o in Calabria il cittadino invochi l’intervento dello Stato, ma pensiamo alla Lombardia: pur se ha alcuni difetti, comunque siamo riusciti a creare un sistema tra i migliori d’Europa, quindi del mondo. E lo abbiamo per merito delle lotte della Lega Nord che hanno ottenuto una certa percentuale d’autonomia. Non è un caso che la sanità lombarda sia tra le migliori del mondo. Qualcuno pensa che, se la gestione della sanità tornerà a Roma, miglioreremo? Nessuno può pensarlo. E ci sono ben ventun materie che Roma avoca sé. Sono elencate dalla A alla Z, anche questo molto simbolico».

I sostenitori del Sì, dicono che le Regioni virtuose, cioè quelle con i conti in ordine, potranno chiedere ulteriori materie di competenza.
«Ma la clausola di supremazia taglia la testa al toro: nei casi in cui considera una cosa di interesse nazionale, il Governo romano o il Parlamento passano sopra la Regione. Così ci ritroveremo il cugino di Alfano, direttore generale della più grande azienda sanitaria lombarda; deciderà Roma se fare o no una strada, e sempre Roma sceglierà dove destinare i finanziamenti. Insomma torniamo indietro di trent’anni. Davvero pensiamo che la nostra vita sarà meglio gestita se a farlo sarà un ministero romano? Per un lombardo è puro masochismo votare Sì».
I fautori del Sì dicono che se non si cambia adesso, non lo si farà più?
«Tra il 1948 e il 1998 le leggi che hanno modificato la Costituzione sono state sette, da allora ce ne sono state altre nove. Dunque, ribadisco che si tratta di una bella confezione per ridurre il diritto al voto e togliere autonomia. In cambio di una parvenza di sistemazione, danno una mazzata a tutte le nostre vite».
Perché parla di parvenza, non è vero che si riducono almeno i costi della politica?
«A parte il fatto che la democrazia non può essere barattata per soldi (quei sessanta milioni di euro che stimano si risparmieranno non pagando gli stipendi ai senatori), lo sa che se si applicassero nel resto del Paese i parametri usati da Regione Lombardia per le spese sui servizi solo per la sanità risparmieremo miliardi di euro?».
Riassumendo, perché il 4 dicembre dovremmo votare no?
«Perché dentro una bella buccia, tipo il superamento della legislazione concorrenziale tra Stato e Regioni, si nascondono veleni mortali per la democrazia tutta e per la nostra autonomia, creando una sorta di pasticcio. L’attuale articolo 70 è composto da nove parole che chiunque può capire: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”; il nuovo ne ha 398. Il primo era per la gente, il secondo è per gli addetti ai lavori, per l’élite, l’élite del nulla. Pensiamo al governo Monti, il governo d’élite per eccellenza: ha combinato tali e tanti disastri che se qualcuna di quelle cose dette e fatte le avesse fatte un suo studente del primo anno, “il professore” lo avrebbe bocciato. In un passaggio del Libro della giungla le scimmie pasticcione, che non riescono a portare a termine niente, che quando si riuniscono per parlare di cose secondo loro profonde, dopo cinque minuti cominciano a litigare, cantano: “Siamo brave, siamo belle e se lo diciamo tutte è vero”. Come queste élite fasulle».
