La verità e il muro contro muro

Perché Gentiloni ha fatto bene a rimandare l'ambasciatore in Egitto

Perché Gentiloni ha fatto bene a rimandare l'ambasciatore in Egitto
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Un bello scherzetto degli amici americani a Paolo Gentiloni e al suo ministro degli Esteri Angelino Alfano: il New York Times ha pubblicato un’inchiesta del suo corrispondente Declan Welsh dal Cairo in cui si rivela che l’amministrazione Obama era in possesso di elementi che confermavano le responsabilità dei servizi segreti egiziani nell'omicidio di Giulio Regeni e che a suo tempo avrebbe passato queste informazioni al governo italiano. La tempistica della rivelazione è un po' imbarazzante: infatti la notizia viene alla luce proprio il giorno dopo che il governo aveva annunciato il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo. Non più Maurizio Massaro che l'8 aprile 2016, dopo il delitto, era stato richiamato a Roma per consultazioni ma Giampaolo Cantini. Da allora la rappresentanza italiana nella capitale egiziana era rimasta senza titolare.

Insomma, si riallaccia una relazione e immediatamente esplodono le polemiche: in Italia i genitori di Regeni parlano di “una resa” davanti all'omertà delle autorità egiziane, negli USA tirano fuori a scoppio ritardato la notizia di prove del coinvolgimento dei servizi segreti del Cairo nel delitto del ricercatore italiano. Come ha specificato una fonte del governo italiano a Repubblica «nei contatti tra amministrazione USA e governo italiano avvenuti nei mesi successivi all'omicidio di Regeni non furono mai trasmessi elementi di fatto, come ricorda tra laltro lo stesso giornalista del New York Times, né tantomeno prove esplosive”».

Gentiloni in realtà si è mosso a ragion veduta nel momento in cui ha preso la decisione “mediaticamente” scomoda di tornare a una normalità di rapporto con un Paese per tanti versi cruciale come l’Egitto. Il premier ha infatti chiarito che il nuovo ambasciatore «avrà, tra laltro, il compito di contribuire alla azione per la ricerca della verità sull'assassinio di Giulio Regeni».

La decisione di mandare di nuovo un ambasciatore in Egitto si collega tra l’altro ad una svolta legata alla trasmissione da parte della Procura del Cairo agli omologhi capitolini di atti relativi a un nuovo interrogatorio cui sono stati sottoposti i poliziotti che hanno avuto un ruolo negli accertamenti sulla morte del giovane. Una svolta registrata in una nota congiunta firmata dal procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone e il procuratore generale della Repubblica Araba D'Egitto Nabil Ahmed Sadek. Il procuratore egiziano in un colloquio telefonico con i colleghi romani aveva confermato la decisione di affidare a una società terza esterna l’esame dei filmati delle telecamere della metropolitana del Cairo che possono contenere elementi importanti per la ricostruzione dei fatti. Un’attività che prenderà il via a settembre con una riunione tra l'azienda e la procura egiziana, alla quale sono stati invitati anche gli inquirenti italiani. «Entrambe le parti», è stato scritto in una nota congiunta, «hanno assicurato che le attività investigative e la collaborazione continueranno fino a quando non sarà raggiunta la verità in ordine a tutte le circostanze che hanno portato al sequestro, alle torture e alla morte di Regeni».

La convinzione di Gentiloni è che sia più facile arrivare alla verità collaborando che non continuando nel muro contro muro.

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