Perché i kenyoti corrono veloci

Nabiba Naftali Temu è un nome che solo pochi, anzi, davvero pochissimi e veri appassionati di sport, potranno immediatamente ricordare. Maratoneta di almeno cinque decenni fa, è stato il primo keniota ad aggiudicarsi l’oro olimpico nei 10000 metri piani. Era il 1968, e lo sfondo di questo successo erano le Olimpiadi disputate a Città del Messico. Con lui iniziò la lunghissima storia di vittorie keniote, con numerosi primati che ancor oggi non conoscono rivali. Da quel primo oro olimpico gli atleti kenioti sono diventati i padroni indiscussi del gradino più alto del podio in quasi tutte le corse di distanza e resistenza: 1500 metri, 3000 metri, 5000 metri, 10000 metri, mezza maratona e maratona. Solo una domanda, allora, a questo punto pare lecita: come fanno a correre così veloci e con tanta resistenza?
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Altitudine. Inizialmente, questi incredibili risultati sono stati attribuiti al cosiddetto fattore altura, ovvero alla conformazione geografica del Kenya che, per l’appunto, è caratterizzato da numerosi altipiani che vanno dai 2000 ai 3500 metri di altitudine. Per molti anni si è pensato che la chiave del successo di questi atleti fosse dovuta ai numerosi allenamenti svolti in questo particolare contesto geografico anche se poi, con il tempo, questa tesi ha iniziato a suscitare sempre più dubbi, dato che anche altre numerose popolazioni vivono su altopiani, senza poter vantare alcun successo nelle già citate competizioni.

Silas Kipngetich of Kenya crosses the finish line to win the 28th international Belgrade Marathon race, in Belgrade, Serbia, Saturday, April 18, 2015. Kipngetich finished in 2 hours, 14 minutes and 41 seconds.(AP Photo/Darko Vojinovic)

Edwin Kemboi Kiyeng from Kenya celebrates after winning the Zurich marathon in Zurich, Switzerland, Sunday, April 19, 2015. (Steffen Schmidt/Keystone via AP)

Mark Korir of Kenya, crosses the finish line to win the 39th Paris Marathon men's race, Sunday, April 12, 2015. Korir finished the race in 2 hours, 5 minutes, 49 seconds. (AP Photo/Michel Euler)

Caroline Rotich, of Kenya, breaks the tape to win the women's division of the Boston Marathon, Monday, April 20, 2015, in Boston. (AP Photo/Elise Amendola)
Genetica. Secondo quando sostenuto dal fisiologo danese Bengt Saltin, i keniani sarebbero geneticamente favoriti perché avrebbero la fortuna di possedere un particolare gene. Questo produrrebbe, in particolare, un enzima capace di smaltire più velocemente l’acido lattico con un risparmio energetico di circa il 10 percento. Al momento, però, questo gene non sarebbe stato ancora né individuato né classificato, e la tesi di Saltin sarebbe relegata alla filosofia della medicina. Un'altra interessante tesi scientifica riguarderebbe il gene Ace. Si tratta di una particella all’interno del nostro corpo in grado di determinare un aumento della pressione sanguigna con conseguente incremento dell’afflusso di sangue. Permetterebbe, insomma, una maggior efficienza muscolare oltre che la capacità di sopportare sforzi prolungati. Al momento, sono numerose le ricerche che cercano una connessione tra le vittorie keniote e una variante “speciale” di questo gene. Ma anche questa tesi non è ancora stata confermata.
Stile di vita. La geografia e la scienza, almeno per il momento, non sono state in grado di spiegare la stupefacente resistenza fisica di questo popolo. Secondo molti, per trovare la soluzione a questo mistero, bisognerebbe recarsi in quelle terre e osservare il loro stile di vita. Si scoprirebbe che la maggior parte della popolazione è solita spostarsi ancora a piedi o, dettaglio non trascurabile, correndo. Inoltre la corsa è uno sport molto incentivato in tutti gli istituti scolastici del Paese. Si stima infatti che quasi il 90 percento degli studenti kenyoti abbia provato a cimentarsi in questo sport in maniera dilettantesca, generando un bacino di utenza doppio rispetto a qualunque altra nazione. E infine, vi sarebbe un aspetto psicologico tipico dei kenyoti. Un loro plusvalore risiederebbe in un straordinaria forza mentale, sviluppatasi in un ambiente dove le avversità e le difficoltà quotidiane sono spesso difficili da affrontare e da superare.