Come mai l'Isis colpisce l'Indonesia il Paese più musulmano al mondo
C’è chi dice che volessero imitare Parigi gli attentatori che ieri, con una serie di esplosioni e attacchi kamikaze, hanno scosso Giacarta, la capitale indonesiana, Paese dove è concentrato il maggior numero di musulmani sunniti al mondo. Le vittime sono cinque terroristi e due civili, e l’Isis avrebbe rivendicato il gesto, attraverso l’agenzia di stampa Aamaaq legata allo Stato Islamico. Non era mai successo che il Daesh attentasse un Paese a così alta densità di musulmani, dove su una popolazione di 215 milioni di abitanti, il 90% si professa islamico.
Chi è Bahrun Naim. La polizia di Giacarta afferma che dietro gli attacchi ci sarebbe Bahrun Naim, un indonesiano che starebbe combattendo con l’Isis in Siria. Naim, che secondo alcuni sarebbe in fuga secondo altri invece avrebbe coordinato gli attacchi da Raqqa, vorrebbe unire tutti i gruppi del sud-est asiatico sotto la bandiera del Califfato. Nel curriculum di Naim figura la gestione di un internet cafè sull’Isola di Giava. Arrestato nel 2011 per possesso illegale di armi, ha scontato tre anni di prigione ed è diventato il punto di riferimento dei gruppi terroristici dell’isola. Un anno fa Naim è partito per la Siria per combattere nelle file dello Stato Islamico. L'uomo, dopo i fatti di Parigi, ha pubblicato online un compendio intitolato “Lezioni dagli attacchi di Parigi” affinché anche in Indonesia si imparassero la coordinazione e il tempismo di quanti hanno insanguinato la Francia.
Indonesia Explosion Day After Photo Gallery
Indonesia Explosion Day After Photo Gallery
Indonesia Explosion
Indonesia Explosion
Indonesia Explosion
Indonesia Explosion
Indonesia Explosion
Indonesia Explosion
L’Indonesia. Anche se ogni indizio porta a pensare che gli attentatori siano veramente uomini legati al sedicente Califfo, in Indonesia la situazione è un po’ più complicata. Innanzitutto la sua estensione: stiamo parlando di oltre 16mila isole che occupano uno spazio che dalla punta nord-occidentale di Sumatra arriva fino al confine con Papua-Nugini, sull'isola della Nuova Guinea, e che dalle Filippine va fino all'Oceano Indiano. La maggior parte degli indonesiani viva a Giava, che ha una densità di circa mille persone per chilometro quadrato. E poi la religione: in Indonesia sono quasi tutti musulmani, e i pochi cristiani presenti sono quasi tutti protestanti. I musulmani, che sono comunque tutti sunniti, si dividono in due gruppi: Santri e Abangan. Semplificando ai minimi termini, storicamente i primi sono quelli più osservanti e gli altri sono quelli più laici, che non seguono i precetti della preghiera, del velo per le donne ecc. Anche all’interno dei Santri, però, ci sono le correnti più tradizionaliste e quelle più moderniste, che spesso si trovano a scontrarsi per via di opposte posizioni politiche. Tuttavia in Indonesia, sebbene ci siano piccole discriminazioni locali, ci si basa su Cinque Principi: fede in un solo Dio, un umanesimo giusto e civilizzato, nazionalismo, orientamento verso il popolo e giustizia sociale. In una parola la Pancasila, cioè quel pensiero filosofico su cui si fonda il Partai Demockrat oggi al governo.
L’islam indonesiano. Nella costituzione indonesiana non vi è alcun riferimento all’islam, e molti teologi musulmani proclamano il pluralismo religioso. Nelle università islamiche statali si insegna un islam aperto al dialogo, mentre paradossalmente i fondamentalisti escono dalle università statali laiche, soprattutto dalle facoltà di scienze esatte e tecniche. La polizia indonesiana sostiene che fino a oggi sono circa 400 coloro che hanno deciso di partire per la Siria e arruolarsi nell’Isis, e di questi una cinquantina sarebbero morti. Inoltre, i simpatizzanti jihadisti in Indonesia sarebbero circa 1000: pochi se si pensa che i musulmani in totale sono 206 milioni. Inoltre l’Indonesia ha utilizzato la repressione per mano delle forze d’elite, per sconfiggere il cancro in maniera aggressiva. Politicamente, poi, la maggioranza dei fedeli non è attratta dai partiti islamici. Nel periodo di Natale pare che la polizia abbia arrestato un gruppo di probabili attivisti legati all’isis, che avevano piazzato una bomba davanti alla casa di un sindaco e pare stessero pianificando di colpire la capitale. A finanziarli, si dice ci fossero soldi siriani, di Raqqa: l’obiettivo era innescare le minaccia jihadista anche in Indonesia.
Un groviglio intricato. Il jihadismo in Indonesia, però, non è un fenomeno nuovissimo. Gli attacchi di Giacarta arrivano, anche se a distanza di anni, dalle bombe di Bali che nel 2002 fecero 202 morti tra i turisti australiani. E all’epoca non c’era l’isis ma a terrorizzare il mondo ci pensava al Qaeda. In indonesia in modo particolare, c’era la Jemaah Islamiyah, fondata da veterani di ritorno dalla guerra in Afghanistan negli anni Ottanta, che con al Qaeda avevano stretti legami. E come fa notare Emanuele Giordana su Pagina 99, per capire che in Indonesia la situazione è complessa, non bisogna dimenticare la figura di Joko Widodo, detto Jokowi, il Presidente uscito vincitore dalle elezioni del 2014. Sbaragliò la concorrenza di Prabowo Subianto, ex generale che sposò la figlia minore del generale Suharto, che fu il secondo presidente dell'Indonesia, salito al potere nel 1967 grazie a un colpo di Stato. Jokowi è di umili origini e senza alcun legame con il regime autoritario che ha governato il paese dal 1967 al 1998. Laico e nazionalista, ha fatto della lotta alla corruzione e agli apparati di potere la carta vincente della sua campagna elettorale, attirandosi le simpatie dei giovani e le antipatie di chi invece a questi apparati era ancora legato.