Come mai scioperano gli avvocati
L'Unione delle Camere Penali italiane (Ucpi), l'organo di rappresentanza collettiva del mondo dell'avvocatura penale del nostro Paese, ha invitato, ad inizio novembre, i penalisti italiani a partecipare ad uno sciopero nazionale che ha avuto inizio lunedì 30 novembre e che si è protratto fino a mercoledì 2 dicembre. La decisione dell'Ucpi è stata conseguenza di alcune distorsioni patologiche dell'universo giudiziario penale che sono considerate ormai, purtroppo, radicate nella prassi processuale, e ritenute non più tollerabili dai principali protagonisti: gli avvocati. Hanno aderito allo sciopero la maggior parte delle Camere Penali italiane, fra cui quella di Bergamo. Poiché le ragioni dell’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria possono essere di difficile comprensione ai non addetti ai lavori, abbiamo chiesto a Monica Di Nardo, presidente della Camera Penale di Bergamo, di rispondere in maniera sintetica e chiara ad alcune domande.
Avvocato, quali eventi e quali problematiche, nello specifico, hanno portato l'Ucpi a invitare le Camere Penali di tutta Italia ad aderire ad uno sciopero?
«Anzitutto intendiamo contrastare la possibile estensione del “processo a distanza”. Attualmente la partecipazione al dibattimento a distanza dell’imputato è prevista solo per reati molto gravi nel caso sussistano ragioni di sicurezza o di ordine pubblico e per evitare ritardi nello svolgimento del processo. La modifica all’esame del Parlamento vorrebbe estenderla indistintamente a tutti i processi con detenuti e senza specifica motivazione. Ciò significa che nel caso in cui l’imputato debba conferire con il difensore, per esempio per chiedergli di fare domande a un testimone, l’udienza sarebbe sospesa e ciò potrebbe compromettere l’immediatezza e la genuinità delle risposte del teste».
Forse l’estensione del “processo a distanza” è suggerita da necessità di risparmio economico.
«Che non ci sarebbe affatto perché non tutte le case di reclusione sono attrezzate per i collegamenti audio-visivi e, quindi, la polizia penitenziaria potrebbe essere ugualmente impegnata negli spostamenti».
Un secondo tema che avete sollevato è quello di evitare la spettacolarizzazione dei processi e prevenire l’alimentazione dei circuiti mediatici. In che modo e in che misura il mondo dei media influisce e altera il fisiologico sviluppo delle indagini e delle procedure dei processi penali?
«L’interesse dei mass media alle vicende giudiziarie va oggi oltre al legittimo diritto di cronaca e ciò spesso causa un grave danno, non solo a indagati, imputati e persone offese, ma alla giustizia in genere».
Sta dicendo che le trasmissioni televisive sui casi giudiziari fanno male alla giustizia?
«I processi dovrebbero svolgersi solo e unicamente nelle aule giudiziarie, dove vigono regole ben precise nel rispetto del contradditorio delle parti. Nessuno dovrebbe anticipare atti processuali o disquisire di argomenti trattati o da trattarsi durante il processo. Convincere l’opinione pubblica della propria tesi non ha alcuna valenza sulla sentenza che verrà pronunciata».
Quale dovrebbe essere in tal senso il ruolo delle Procure?
«Gli operatori della giustizia hanno il dovere di sottolineare ai media l’importanza della formazione della prova in dibattimento. E’ giusto che un giudice conosca dalla televisione una circostanza che potrebbe non entrare mai a far parte del processo e della quale non dovrà tenere conto nel motivare la sentenza? E poi c’è pure un altro grave rischio».
Quale?
«L’adozione di leggi richieste a gran voce dall’opinione pubblica. Un esempio tipico è il caso dell’omicidio stradale. La proposta di legge prevede pene da 8 a 12 anni di reclusione (fino a 18 per omicidi plurimi), ma non si mette in evidenza che il nostro codice penale prevede per l’omicidio colposo commesso in violazione delle norme sulla circolazione stradale da soggetti sotto l’influenza di alcool o sostanze stupefacenti pene da 3 a 10 anni di reclusione (fino a 15 per omicidi plurimi). La norma esiste già, darle un nome nuovo non significa migliorare l’efficienza della giustizia o fare meno morti sulle strade».
Protestate anche sui tempi della prescrizione dei reati. Come mai?
«Vogliamo contrastare tutti i disegni di riforma volti ad allungare ulteriormente i tempi di prescrizione. Gli avvocati sono contrari perché superare la ragionevole durata del processo contrasta con il diritto di difesa dell’imputato. Non si considera che i testimoni che vengono sentiti dopo quattro o cinque anni dal fatto, non ricordano cosa sia successo e l’imputato, anche se colpevole, non è più la stessa persona che era all’epoca di commissione del reato. Il problema è un altro, i fascicoli non dovrebbero giacere per anni nelle stanze delle procure ed essere inviati al giudicante quando oramai troppo tempo è inutilmente decorso e il lavoro di chi giudica viene vanificato dalla prescrizione. Infine, chiediamo che siano razionalizzate e dislocate le risorse umane e finanziarie per rimediare alla situazione di collasso degli Uffici Giudiziari per evitare danni ai cittadini tutti».
Rispetto a tutti questi temi, come si colloca la realtà giurisdizionale bergamasca?
«La situazione giudiziaria di Bergamo non è diversa dal resto del paese, ma qui abbiamo un grande vantaggio: vi è grande rispetto e collaborazione tra magistrati ed avvocati. Anche da noi c’è carenza di personale e di risorse economiche, ma abbiamo a cuore il funzionamento della giustizia e ci adoperiamo per cercare di rendere un servizio migliore ed una giustizia più efficiente nell’interesse dei cittadini».
L'Ucpi ha però avuto modo di citare anche il processo-Bossetti…
«Anche per quanto riguarda il processo Bossetti ritengo coerente applicare ciò in cui credo. Non ci sarebbero polemiche e chiacchiericcio da “Processo Del Lunedì” se il diritto venisse discusso solo nelle aule di giustizia».