Una riflessione seria

Perché il tempo vola?

Perché il tempo vola?
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Che peso ha il tempo? Attimi lunghi come una vita e mesi che passano come un soffio: lo scorrere del tempo, il suo protrarsi senza ragione o la sua velocità sfuggente sono stati studiati per anni, sia dal punto di vista scientifico che da quello filosofico e psicologico. A una soluzione, però, non si è ancora arrivati.

Ci ha provato l’autore americano Alan Burdick, che nel suo libro Perché il tempo vola (Il Saggiatore, 2018) cerca di spiegare come mai quando siamo felici il tempo passa in un attimo e invece quando ci annoiamo non passa mai. Il problema principale affrontato dall’autore è quello del “volare del tempo”, che Burdick prova a ricollegare a un evento significativo della sua vita personale, cioè alla nascita dei suoi gemelli, che l’ha portato a interrogarsi su cosa significhi aspettare, e su cosa, al contrario, implichi la fretta. Da giornalista scientifico, l’autore cerca di valutare il tema analizzando due diversi aspetti, ovvero il momento percettivo  e il tempo psicologico, il primo legato a due eventi successivi che vengono percepiti come simultanei; il secondo identificabile nel lasso di tempo in cui sembra avvenire un solo, singolo evento.

 

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Cosa significa adesso? Attorno a questa domanda e alla differenza tra il tempo scientifico e la percezione del tempo psicologico l’autore sviluppa una serie di riflessioni, che lo portano, ad esempio, a valutare come, tra l’ultimo pensiero diretto verso un’azione e l’azione stessa ci sia un lasso di tempo che spesso non consideriamo. Pensiamo, infatti, che il comando che arriva dal nostro cervello rispetto a toccare un tasto del computer e l’azione del premere un punto della tastiera siano simultanee. Non è così, ma il nostro cervello ci porta a credere a questa corrispondenza.

Burdick fa poi una serie di osservazioni sul funzionamento delle nostre cellule (ciascuna con un orologio biologico che ne regola il ritmo e le attività), citando anche gli esperimenti di Michel Siffre, che passò duecento giorni in un laboratorio sottoterra per valutare la percezione del tempo quando si è privati di percezioni sensoriali. Prende poi in considerazione gli effetti della lingua pirahã, che ai riferimenti temporali ha quasi totalmente rinunciato, fino a valutare le implicazioni del Tempo Universale Coordinato, che regola tutti gli orologi del pianeta. Per quanto la scienza tenda a soffermarsi sul fatto che ci sia una misura universale per il tempo e che il suo scorrere sia costante, resta altrettanto valida, sottolinea l’autore, la constatazione di come il tempo scorra più veloce in corrispondenza di momenti felici (la nascita di un bambino, il primo appuntamento, un successo lavorativo) e invece si allunghi stancamente nei periodi morti, in cui siamo tristi o annoiati.

 

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Qual è allora la soluzione? In mancanza di un organo deputato a misurare lo scorrere del tempo, che non pare ritrovarsi nel corpo umano né tantomeno sembra poter essere artificialmente creato, nemmeno il giornalista americano riesce a risolvere l’enigma. L’abilità sta, per ammissione dello stesso autore, nell’esercitare la consapevolezza del presente come staccato dalle aspettative del futuro e dalla memoria del passato (un insegnamento che rimanda a Sant’Agostino). A suo avviso l’unico appiglio può essere quello di prendere consapevolezza di sé stessi nelle situazioni.

«Mi sono rintanato in un pozzo per dieci anni, e poi, uscendo, mi sono accorto di avere una barba bianca e lunghissima». Questa l’affermazione con cui Burdick ha concluso la sua intervista alla National Public Radio (NPR) americana, ironizzando su uno dei (pochi) segni certi dello scorrere del tempo.

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