Petrolio, gli Usa sorpassano l'Arabia grazie alla rivoluzione "shale"
Da tempi immemori l’Arabia Saudita sta al petrolio quasi come l’Australia sta ai canguri, e fino a poco tempo fa risultava essere un’equazione pressoché ineccepibile; ma ora le cose sono radicalmente cambiate. Gli Stati Uniti infatti sono in procinto di impossessarsi dello scettro di principali produttori di greggio su scala mondiale, detronizzando i sauditi dopo anni e anni di primato. A renderlo noto è l’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aie), secondo la quale, dopo gli ultimi mesi di sostanziale condominio, il sorpasso a stelle e strisce è ormai imminente.
I numeri dei barili al giorno e la questione domanda-offerta. Le ultime statistiche ufficiali, riferite a giugno, mostrano che gli Usa hanno acquistato da Riyadh solo un milione di barili al giorno, contro una media di 1,4 milioni di barili al giorno (mbg) nei primi 5 mesi dell'anno. Secondo l'Aie, i dati preliminari mostrano un ulteriore netto calo in agosto. Non solo: da quattro mesi l'export saudita, verso qualunque destinazione, è ormai inferiore a 7 mbg. Non si registravano volumi così bassi da tre anni.
E all'origine del calo non ci sarebbe la volontà di tagliare le forniture per favorire la ripresa dei prezzi, crollati di recente sotto 100 dollari al barile, bensì la bassa richiesta da parte dei clienti. Attraverso il bollettino mensile Opec, l’Arabia Saudita ha annunciato di aver di aver ridotto la produzione, nel mese di agosto, di 400mila bg; un dato perfettamente in linea con lo scarso incremento di produzione registrato nel secondo trimestre del 2014, calcolabile in soli 480 mila bg, il minimo da due anni e mezzo.
I motivi del calo della domanda, e quindi della produzione, sono da ricercare nel persistente periodo di deflazione che sta colpendo l’Europa e nel ribasso di consumo petrolifero da parte della Cina, quest’anno in aumento solo del 2 percento. Il contestuale boom di produzione petrolifera degli Stati Uniti ha fatto sì che il mercato mondiale si rivolgesse a questi ultimi più che all’Arabia Saudita, portando per altro notevoli benefici a tutti: lo squilibrio di mercato generato dal pressoché totale monopolio saudita sulla vendita del greggio degli ultimi anni, che aveva portato all’impennata del prezzo della benzina, è stato decisamente ridimensionato dall’inarrestabile progressione Usa, che ha permesso il calo dei prezzi per l’utente finale registrato da due anni a questa parte nonostante le crisi in Iraq e Siria e la guerra in Libia.
Il boom della produzione petrolifera americana. Negli ultimi due anni, la produzione di petrolio americana è aumentata di 3,5 mbg, con una progressiva crescita che ha fatto registrare gli 8,87 mbg degli ultimi tre mesi e il previsto raggiungimento di quota 9 mbg entro pochissimo tempo. Ma ad onor del vero, a permettere questo incredibile boom produttivo non è stata certo una lungimirante e attenta politica energetica da parte dei governi passati nelle stanze della Casa Bianca negli ultimi lustri; anzi, è tutto avvenuto, e avviene ancora oggi, quasi casualmente.
Per trovare le radici di questa inaspettata ascesa, bisogna andare addirittura alla fine degli anni ’80, con le sperimentazioni di un piccolo petroliere indipendente, tale George Mitchell, il quale ideò un nuovo meccanismo di estrazione composto dall’uso congiunto della perforazione orizzontale e della fatturazione idraulica, oggi denominato semplicemente “shale”. Il successo della sperimentazione si concretizzò nei primi anni 2000, nel giacimento di Barnett, nel Texas. Fu l'inizio della rivoluzione, ma nessuno se ne accorse: né le grandi società petrolifere, che per quasi un decennio avrebbero considerato lo shale una bolla temporanea, né gli ambientalisti, allora impegnati a combattere su altri fronti. Nemmeno i governi dell'epoca, guidati da George Bush, ne ebbero sentore.
’indifferenza riservata da parte di tutti allo shale, permise a quest’ultimo di superare indenne la legge sull’energia del 2005, rimanendo quindi materia del tutto deregolata, e quindi sfruttabile al massimo delle sue possibilità. Giunti ad oggi, la grande produzione di petrolio riscontrata in questi mesi è frutto dell’espansione incredibile che lo shale ha avuto; ma, nonostante tutto, il governo americano ancora persiste nel non occuparsi di questo fenomeno, limitandosi a registrare il boom petrolifero e compiacersene, senza prendere in considerazione la possibilità, ad esempio, di creare un sistema infrastrutturale di oleodotti più adeguato ai nuovi livelli di produzione americana.