Un territorio americano "non incorporato"

Porto Rico, la "Grecia degli Usa" 20mila dollari di debito pro capite

Porto Rico, la "Grecia degli Usa" 20mila dollari di debito pro capite
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20mila dollari di debito “pro capite”, pari, in pratica, al 100 percento del Pil e a ben 72 miliardi di dollari che gravano sulle casse di uno stato ormai al collasso, incapace di reagire di fronte ad un default che potrebbe travolgerlo entro sei mesi. Sono cifre ben più inquietanti di quelle greche, e arrivano da Porto Rico, isola delle Antille tra Repubblica Dominicana e isole Vergini, un piccolo paradiso naturalistico che però ora fa tremare gli Stati Uniti, nazione strettamente legata a questa terra pure nelle sue disavventure economiche.

 

 

Che cos’è Porto Rico. Perché tecnicamente Porto Rico dal 1917 è un territorio non incorporato degli Usa, in poche parole un pezzetto di “America” nel mar dei Caraibi. I suoi abitanti nascono cittadini americani, ma hanno una propria costituzione, pur essendo di fatto sottoposti alle leggi americane, tra cui l’obbligo di leva. Sono posti sotto la piena giurisdizione del Senato e della Camera americane, ma non votano per eleggerne i membri o per eleggere il presidente. In un recente referendum hanno rifiutato l’ipotesi dell’indipendenza e tra quelli che hanno votato per rimanere americani ha vinto chi ha preferito l’idea di diventare uno Stato americano a tutti gli effetti, ipotesi che nel resto degli Usa non è popolarissima.

 

 

La crisi dell’economia dell’isola. Durante gli anni della Guerra Fredda gli States allestirono qui alcune basi militari, che alla fine di quel periodo storico vennero chiuse, provocando una brusca frenata all’economia dell’isola. Se ne andarono gli investimenti e vennero lasciato solo debiti. Il che ha determinato una fuga di massa verso gli Stati Uniti. In tutto oggi, i tre milioni e mezzo di abitanti sono mediamente più indebitati che in qualsiasi altro stato americano. Una situazione che ha determinato, negli ultimi anni, politiche di austerity quali innalzamento delle tasse e dell’Iva, tagli al personale, riduzione delle pensioni, che hanno portato solo a un rallentamento del ritmo di spesa, soffocando ogni speranza di ripresa economica.

Il rischio default a brevissimo termine. Oggi l'isola è a rischio default entro sei mesi. Il suo governatore ha dichiarato di non poter più ripagare il debito, che ammonta a 72 miliardi di dollari ed è quasi tutto in mano ai fondi comuni americani. A questo punto gli Stati Uniti temono una “Grecia americana”, e si chiedono cosa potrebbe accadere, dato il particolare status dell'isola caraibica.

 

 

La richiesta portoricana. L’isola non è uno Stato sovrano e quindi non può ricorrere agli aiuti del Fondo Monetario Internazionale. Alejandro Garcia Padilla, il governatore, chiede ''sacrifici'' ai creditori e propone una ristrutturazione del debito. Quello che chiede è la possibilità di accedere alle procedure di insolvenza che hanno permesso, nel 2013, di salvare Detroit dal suo debito di 18 miliardi di dollari in obbligazioni municipali. All’epoca si era fatto ricorso all’articolo 9 della legge fallimentare americana, che permette ai creditori di recuperare qualcosa, ma la situazione era diversa perché Detroit era una città e non uno stato così particolare come Porto Rico sul piano dell’ordinamento. Quindi oggi i creditori rischiano di rimanere a bocca aciutta.

Il “no” americano. La soluzione proposta da Garcia Padilla ha incassato il secco no dal governo federale e dal Congresso degli Stati Uniti, che tramite il portavoce della Casa Bianca John Earnest, hanno fatto sapere che «nessuno sta contemplando un salvataggio federale di Porto Rico». Oltre a non essere uno Stato, non è neanche una città. Il che vuol dire che senza un intervento del Congresso non ha a disposizione nemmeno lo strumento dell'amministrazione controllata per una riorganizzazione del debito. Men che meno può svalutarsi, per provare rendere l'economia più competitiva e risollevarsi dal baratro.

 

 

Chi ci rimette. A tremare sono soprattutto i cittadini americani, titolari dei bond, che vedevano nei titoli di debito portoricani un investimento sicuro e allo stesso tempo un maggiore rendimento, sia in termine di interessi che per il detassamento cui tali bond erano soggetti. Non solo. Un default portoricano andrebbe a minare le certezze di investimento del sistema americano dei bond municipali e locali, cioè quelle obbligazioni emesse da enti ed amministrazioni locali con lo scopo di reperire fondi da utilizzare sul territorio di competenza per finanziare progetti, opere infrastrutturali e altri obiettivi di interesse pubblico. Un eventuale default, che è sempre più prevedibile, provocherebbe un aumento del costo d’indebitamento degli enti locali americani.

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