Il testo di Burreddu, Giardini e Cola

Vincere l'oro non basta alla vita 10 atleti e il vuoto dopo il successo

Vincere l'oro non basta alla vita 10 atleti e il vuoto dopo il successo
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Qualche giorno fa, mentre alzava al cielo di New York quella bella coppa d'argento per il successo agli Us Open, Flavia Pennetta ha detto una cosa davvero sconvolgente: «Smetto, lascio il tennis. Torno a vivere. A volte non si decide per paura del dopo. Ma io penso che la mia vita sarà bellissima». Ma come? Sei nel momento più alto della tua carriera, tutto il mondo ti celebra e tu cosa fai, smetti? C'è qualcosa oltre il confine della vittoria che gli atleti non conoscono. È una nuova vita. Si sono allenati e basta, hanno sacrificato momenti con la famiglia e gli amici per salire sugli aerei, per andare a letto presto la sera, privazioni, sacrifici (ma loro li chiamano «scelte»), e poi, improvvisamente, quando l'età diventa una data di scadenza come su un vasetto di yogurt sono costretti a capire qualcosa di più sulla loro esistenza. Uno che ha spiegato molto bene il concetto è un altro tennista, Yannick Noah, che ha vinto il Roland Garros: «Ci sono atleti che vivono il ritiro dall'attività agonistica come una piccola morte. È perché il tennis è la loro unica vita, la sola che hanno. Io sono sempre riuscito a impedire che il tennis me la riempisse». Ecco, il pieno.

 

 

Cosa c'è dopo? Ma è di vuoto che gli autori Giorgio Burreddu e Alessandra Giardini (già in libreria con Vedrai che uno arriverà e Maledetti Sudamericani) si occupano assieme a Fabio Cola nel loro ultimo libro Vuoto a vincere (Absolutely Free ed., 166 pag. 13 euro). Al termine di un lungo percorso c'è sempre un punto di rottura, un attimo in cui la nostra coscienza fa i conti con tutto ciò che ci siamo lasciati alle spalle, con tutto quello che negli anni abbiamo messo da parte in nome di un unico traguardo, sacrificando molto, se non tutto, a un ideale. Ecco perché nel momento in cui puoi toccare la gloria, e riesci finalmente a stringerla fra le mani, non è strano avvertire un senso di malinconia, una specie di vuoto. Mentre sei lassù e ti senti invincibile, di colpo capisci che durerà pochissimo, anzi, forse è già finito. Lo sport, che è vita amplificata e accelerata, ci aiuta a comprendere meglio questo momento di fragilità assoluta. Qual è il costo da pagare per raggiungere il successo? Una vittoria può valere l'immortalità, già, ma a che prezzo? A tutti noi è successo di avvertire questo strano sentimento una volta raggiunto un traguardo, un successo, un obiettivo. È la vita che sterza e cambia strada di colpo, il passato è già alle spalle. E dopo, cosa c'è dopo?

 

 

Dieci campioni si raccontano. Gli autori hanno parlato di quell'attimo con dieci campioni dello sport italiano, dieci simboli del successo, diventati immortali. C'è Domenico Fioravanti, due medaglie d'oro alle Olimpiadi di Sydney, che lotta contro il suo vuoto, quello impostogli dopo lo stop per un problema al cuore. C'è quello di Antonio Cabrini, che il vuoto lo riempie sempre di qualcosa di nuovo, anche se dopo la vittoria del Mundial '82, ammette, «eravamo completamente scarichi». C'è Gabriella Dorio, medaglia d'oro ai Giochi di Los Angeles, che dopo essersi allenata una vita per raggiungere quel primo posto dice: «Se le immagini non fossero prese da dietro vedreste la mia espressione che cambia. Una frazione di secondo, forse meno. Ero dieci metri dopo il traguardo, avevo raggiunto il successo più alto che un atleta possa ottenere, ma la mia faccia diceva un’altra cosa. Mi chiedevo: adesso, e adesso che cosa faccio?». Una galleria di miti azzurri - Andrea Lucchetta, Jury Chechi, Antonio Rossi, Giovanna Trillini, Alessandra Sensini, Nino Benvenuti, Andriano Panatta -, raccontati e intervistati sui loro demoni, i loro vuoti, quelli da riempire e che, probabilmente, li hanno condotti al successo.

 

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