Da un'indagine de Il Sole 24 Ore

Quanto ci costa lo Stato sul web che possiede più di 240 siti

Quanto ci costa lo Stato sul web che possiede più di 240 siti
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Gli anni passano, le abitudini cambiano, ma lo Stato pare sempre essere in affanno nella rincorsa alle nuove realtà. Un esempio molto semplice è la difficoltà evidente dell’amministrazione centrale del nostro Paese nello stare al passo dell’evoluzione tecnologica che ha coinvolto l’intera popolazione italiana nell’ultimo ventennio. Internet non è più solamente un mondo astratto, lontano dalla realtà di tutti i giorni, ma un elemento quanto mai fondamentale nella quotidianità di milioni di italiani, che nella rete lavorano, interagiscono e si informano. Lo Stato, da questo punto di vista, ha sempre buttato un occhio a quanto accadeva nel web, dicendosi quanto mai presente. Eppure, dati alla mano, anche in questo settore pare aver fallito i propri obiettivi. A rivelarlo è una ricerca de Il Sole 24 Ore, che ha svelato la presenza confusionaria, disorganizzata e assai costosa del nostro Stato nella rete.

 

mappa siti gov

[Clicca sull'immagine per andare al grafico interattivo]

 

Esserci o non esserci, questo è il problema. Il quotidiano economico ha scoperto che la presenza del nostro Governo sul web è composta da almeno 240 domini registrati: 154 indirizzi web con l’estensione gov.it registrati presso l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) dal 2002 a oggi e 87 siti tematici richiamati tramite link diretti sui portali istituzionali. I titolari di questi domini sono la presidenza del Consiglio (inclusi i suoi dipartimenti, come quelli dei ministri senza portafoglio) e i vari ministeri. L’elenco non è esaustivo, non include altri domini, gestiti o solamente finanziati dal Governo, ma è comunque una fotografia più che veritiera della realtà.

Di per sé questo dato non rappresenta un problema, se solo questi siti fossero realmente una “roccaforte” dello Stato italiano sul web e non invece un’ammassarsi indistinto di esperimenti, scommesse e progetti iniziati ma mai decollati o portati a termine. Dei 240 siti, infatti, circa il 25%, ovvero 64 di quelli registrati all’Agid, sono inattivi. Ci sono, ma di fatto non ci sono. Talvolta, molti di questi, sono stati praticamente rifatti uguali identici, resi magari solamente un po’ più accattivanti nella grafica e nei contenuti. Ma poco cambia. Il problema è proprio questo: per esserci così, allora forse sarebbe meglio non esserci nel web.

Informare (?) i cittadini. L’obiettivo di molti di questi siti, almeno nelle intenzioni, era quello di aprire delle finestre virtuali sull’attività del Governo. Questo, ad esempio, era l’obiettivo dichiarato del sito attuazioneprogramma.gov.it, oggi non più attivo ma registrato nel giugno 2005 per volere del Governo Berlusconi, che intendeva informare attraverso la rete i cittadini circa lo stato di avanzamento delle riforme. Progetto miseramente naufragato in pochi mesi. Tant’è che lo stesso Berlusconi, nella legislatura successiva, ideò attuazione.gov.it, praticamente omonimo del precedente e con le stesse identiche funzioni. Indovinate? Anche questo oggi non è più attivo. Ma negli anni (e nei Governi) successivi sono stati registrati e realizzati anche i siti programmazioneconomica.gov.it, programmagoverno.gov.it, riformeistituzionali.gov.it, riforme.gov.it e attuazioneriforme.gov.it, solo per dirne alcuni: tutti con lo stesso obiettivo, tutti oggi inattivi. L’ultimo di questa lunga serie, voluto questa volta dal premier Renzi, è passodopopasso.italia.it, ideato per sottolineare lo scandire dei famosi “mille giorni” necessari a cambiare il Paese annunciati dal primo ministro e che oggi, con già 170 giorni alle spalle, è ancora nella “versione beta”, ovvero quella embrionale informaticamente parlando.

 

verybello senza sicilia e calabria

 

Repetita iuvant. O forse no? Ma oltre a questo imbarazzante susseguirsi di siti, portali e domini, uno più inattivo dell’altro, c’è anche una gran quantità di siti attivi che sono la mera riproduzione di siti, sempre di proprietà del Governo, già esistenti. Emblema è l’oramai noto sito VeryBello.it, che tanto ha fatto discutere nelle scorse settimane: pensato come “raccoglitore” di eventi che si svolgeranno in tutta Italia durante i sei mesi di Expo 2015 Milano (1 maggio – 31 ottobre), oltre alle evidenti lacune grafiche (detto più semplicemente, è un sito brutto e, secondo esperti, fatto male) è anche un sito inutile. Il Governo, infatti, era già in possesso di piattaforme digitali in grado di ricoprire alla perfezione il compito per cui è nato VeryBello.it, se solo adeguatamente aggiornate. Tra queste spettacolodalvivo.beniculturali.it o culturaitalia.it, per finire con il noto italia.it, che l’Agid promette di rilanciare dopo la sua creazione nel 2007, i milioni spesi per attivarlo e la fatica fatta per tenerlo aggiornato.

Repetita iuvant, dicevano i saggi, ma in questi casi sarebbe meglio dire che ripetersi costa. Sì, perché VeryBello.it, ad esempio, è costato la bellezza di 35mila euro solo per il lancio, secondo quanto confermato dal Mibact (il Ministero dei beni culturali). Immaginate se ognuno dei siti di cui abbiamo parlato in questo articolo fosse costato almeno 35mila euro, o comunque in media 35mila euro: non ci vuole tanto a capire che la spesa del nostro Stato per la sua presenza su internet avrebbe superato ampiamente gli 8 milioni di euro. Denaro a cui si dovrebbero aggiungere poi le spese per il personale adibito alla loro gestione e/o aggiornamento. Una montagna di denaro pubblico che avrebbe potuto essere dirottato su spese più importanti, come ad esempio il miglioramento delle tecnologie ad uso pubblico, destinandone solo una minima parte al rifacimento e all’implementazione delle piattaforme online già esistenti. Ma, ancora una volta, il nostro Stato sembra faticare a stare al passo della realtà, oltre che della razionalità.

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