Quei messaggi che 50 anni fa i giovani sovietici lasciarono per noi

Novembre 1967. Sulla Piazza Rossa di Mosca si festeggiano i cinquant'anni dalla Rivoluzione (che viene chiamata d’ottobre ma che in realtà avveniva in questi giorni, perché la Russia allora adottava il calendario Giuliano). Altri tempi, decisamente. Allora la Rivoluzione era qualcosa ancora in fieri secondo la visione del potere e dell’ideologia sovietica e milioni di persone al di qua e al di là delle cortina di ferro ne erano fermamente convinti. Oggi la situazione è talmente diversa che è difficile mettersi nei panni di quegli uomini e di quelle donne. Visto come sono andate le cose si fa fatica a pensare che passati ben cinquant'anni anni da quel 1917 tanta gente ancora s’illudesse della bontà di quella rivoluzione. Eppure era così.
Nei giorni scorsi gli ultimi comunisti rimasti in quello che era il cuore della federazione Sovietica, come stabilito hanno aperto le “capsule del tempo” in cui i ragazzi del 1967 avevano lasciato i messaggi destinati ai ragazzi del 2017. Lettere in bottiglia destinate al mondo futuro. Ebbene, cosa scriveva un giovane in Russia nel 1967? Essendo messaggi amicali c’è davvero da credere che fossero testi scritti in libertà e con convinzione. Erano ragazzi convinti di essere sulla strada maestra della storia. E che quindi il resto del mondo era destinato ad allinearsi, presto o tardi. Ma il destino era quello per tutti: un comunismo globale, una società di uguali senza frontiere. Soprattutto un mondo in cui il grande nemico, l’imperialismo, era stato eliminato dalla scena.
«Oggi stiamo costruendo il comunismo e voi vivrete la sua aura», scrive un ragazzo di allora, con un tono da idillio della storia. Erano gli anni in cui Mosca viveva l’epopea della conquista spaziale. Così la fede nel comunismo nelle lettere diventa un tutt'uno con la fede in un futuro da fantascienza. «Beati voi che giocherete a calcio su Marte» si legge in uno dei tanti messaggi depositati nella capsula del tempo. «Sono convinto che avrete equipaggiato bene il nostro pianeta blu» si legge in un’altra lettera, «e avrete colonizzato la Luna». Il pianeta blu era naturalmente la Terra, così come l’aveva ribattezzata Yuri Gagarin, primo astronauta nello spazio.
È un immaginario completo quello di cui disponevano i giovani di allora nel cuore del comunismo. A leggerli oggi sembra di avere a che fare con ragazzi che guardavano al mondo come se fosse una favola. E quindi si sorride. Ma c’è un aspetto di questo loro esporsi sul futuro che non va banalizzato: erano persone che in maniera che oggi sappiamo essere molto anacronistica, avevano una speranza per quel che sarebbe accaduto dopo di loro. Oggi il futuro, al di là delle mitologie, è solo fonte di ansia. Chi saprebbe scrivere una lettera ai ragazzi del 2067? E se anche avesse l’energia di prendere carta e penna, quale messaggio lascerebbe? Probabilmente solo previsioni cupe, solo fatalismo. Ecco perché, anche se il contenuto dei messaggi dei ragazzi sovietici del 1967 oggi ci fanno sorridere, in fondo a loro va un po’ della nostra ammirazione. In fondo erano stati generosi e avevano pensato a noi. Mentre noi non siamo capaci di pensare a chi verrà...