Altro che «stolto pregiudizio»

Quer pasticciaccio in Vaticano

Quer pasticciaccio in Vaticano
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Un brianzolo nato a Rio de Janeiro: questo dice la carta d’identità di Dario Edoardo Viganò, 55 anni, sino ieri uomo chiave della in Vaticano, avendo la carica di Prefetto della Segreteria per la Comunicazione. Ma Viganò nelle scorse settimane è incorso in un incidente che ha quasi dell’incredibile e che lo ha portato a rassegnare le dimissioni, accettate «con fatica» da papa Bergoglio. La vicenda che lo ha travolto è una serie, che è andata ingrandendosi una puntata dopo l’altra, ma era evidente che il problema stava proprio all’origine.

 

 

La richiesta (declinata) per una prefazione. Viganò infatti aveva mandato a Benedetto XVI, papa emerito, la collana di libri che raccoglieva 11 titoli di teologi di riferimento di Papa Francesco, pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana. In più gli chiedeva la disponibilità a scrivere una prefazione. Di prefazione Ratzinger in questi anni ne ha scritte, e non propriamente neutre, visto che ha firmato quella per un libro del cardinal Robert Sarah, prefetto di curia che si era apertamente schierato contro Francesco in materia liturgica e soprattutto quella al volume omaggio per il cardinal Mueller, che è un po’ il leader dello schieramento anti Francesco. Insomma, quello che poteva essere la richiesta di un atto distensivo, in realtà si è rivelata una trappola.

Perché Ratzinger non solo ha declinato l’invito per ragioni di tempo e di impossibilità di studiarsi gli 11 volumi, ma ha sottolineato che gli sarebbe stato impossibile farlo per la presenza in collana di un teologo, Peter Hünermann, che trent'anni fa, con la Dichiarazione di Colonia, aveva apertamente attaccato la politica dottrinale di Ratzinger. Benedetto XVI imputa a Hünermann di aver attaccato «in modo virulento» il magistero papale all’epoca dell’enciclica Veritatis splendor pubblicata nel 1993. L’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, aveva collaborato alla stesura di quel documento firmato da papa Giovanni Paolo II che fu interpretato come una “stretta” riguardo alla teologia morale (di fatto estendeva l'infallibilità papale ai pronunciamenti sui temi dell'etica).

 

 

Le dimissioni di Viganò. Quando la lettera di Ratzinger, con il prevedibile diniego, è arrivata, Viganò deve aver capito l’errore fatto, ma anziché tenere in ambito privato la corrispondenza (che comunque i  nemici di Francesco avrebbero trovato modo di rendere pubblica), ha voluto renderne noto l’inizio. Che è una difesa contro coloro che per «stolto pregiudizio» mettono interrogativi sulla preparazione teologica di papa Francesco. Qualcuno notò che già quella sottolineatura suonava come un’excusatio non petita, che confermava autorevolmente l’esistenza di dubbi sulla questione dell’autorevolezza del pensiero di papa Francesco. Ma il problema della lettera era quel che seguiva, con il rifiuto alla prefazione e la sottolineatura dell’inopportuno inserimento in collana di quel teologo di uno schieramento avverso a Giovanni Paolo II e allo stesso Ratzinger.

Insomma un vero patatrack mediatico, enfatizzato dal tentativo di tener nascoste quelle parti delle lettere, rese poi note a spizzichi e bocconi. Il risultato è che papa Francesco oggi si trova più isolato e che l’operazione di riorganizzazione dei media vaticani pensata da Viganò ora rischia di restare senza guida. Nonostante i 420mila euro (che raddoppiano con i rimborsi spese) già spesi per la consulenza chiesta all’agenzia McKinsey.